L’utile netto delle principali banche europee nel 2011 ha registrato un calo del 72,8% rispetto al 2010, pari al 3,8% dei ricavi.
E’ quanto emerge dalla 9° edizione dell’indagine condotta dall’Ufficio Ricerche e Studi di Mediobanca che ha analizzato i conti aggregati delle maggiori banche internazionali.
Secondo la ricerca sono state le poste straordinarie a compromettere la redditività netta dell’aggregato, saldando in negativo per 54,4 mld euro (+2,7 mld in 2010). In Europa i margini del conto economico segnano un andamento contrastante rispetto al 2010. A fronte di ricavi in calo (-1,1% a cambi costanti), soprattutto per la forte riduzione del risultato di negoziazione (-30,2%), il risultato corrente si attesta al 20,2% dei ricavi dal 19,5% del 2010, con un incremento del 2,4%. La tenuta del risultato risultato corrente è dovuta alla contrazione delle perdite sui crediti ridottesi dell’11,5%, mentre i costi di struttura non mostrano segni di rallentamento (+0,8% in 2010). Il sistema bancario europeo resta circa 8 punti percentuali al di sotto dei livelli del periodo 2001-2007, quando il risultato corrente era in media il 28,4% dei ricavi.
Per quanto riguarda gli Usa, l’andamento della redditività netta e’ differente. I ricavi segnano una flessione assai più significativa (-8,8%) sul 2010. Poiché i costi di struttura aumentano in modo vivace (+4,5%), è ancora la drastica riduzione delle perdite su crediti (-52,4%) a proteggere il risultato corrente che aumenta dello 0,4%, fissandosi al 22,6% dei ricavi. Anche le maggiori banche statunitensi restano lontane dai livelli pre-crisi, avendo segnato un valore medio del risultato corrente nel periodo 2001-2007 pari al 32,4% dei ricavi. Ma, a differenza delle europee, esse non hanno spesato maggiori oneri straordinari, che anzi si sono ridotti del 60%, consentendo all’utile netto di aumentare del 22,1% e raggiungere il 15% dei ricavi, ancora sotto il livello pre crisi, quando esso si attestava in media al 21,3% dei ricavi.
Infine il Roe delle banche europee è caduto nel 2011 all’1,9% molto al di sotto del 7,5% statunitense.
Anche i dati dei primi 3 tre mesi del 2012 segnalano in Europa una flessione dei ricavi (a cambi costanti) dell’8,1% sul corrispondente periodo del 2011, mentre gli utili netti calano del 32,1%.
Tra le riduzioni più marcate quelle di Commerzbank (-28,5%), Credit Suisse (-25,9%), Barclays (-25,4%), e Ubs (-22,2%). Gli incrementi più importanti riguardano Intesa Sanpaolo (+14,5%) e Santander (+8,5%). Da segnalare che un solo un istituto riporta una perdita netta la Lloyds (-2,9 mld di euro). La caduta del risultato netto è maturata nonostante l’ulteriore riduzione del 4,1% degli accantonamenti per perdite su crediti rispetto al primo trimestre 2011.
Sia Intesa Sanpaolo che Unicredit segnano comunque progressioni nell’utile netto: rispettivamente +21,6% e +12,8%. Crescono marginalmente i coefficienti patrimoniali, portandosi al 15,2% (dal 15,1% di dicembre 2011), stabili per Intesa Sanpaolo (14,2% da 14,3%), in aumento per Unicredit (13,5% da 12,4%).
Anche le banche statunitensi registrano un calo dei ricavi (-1,6% sul 2011), e una caduta degli utili (-11,6%) che rispetto alle banche europee hanno potuto beneficiare di una importante flessione delle perdite su crediti, che si sono ridotte del 23,6% sul primo trimestre del 2011. I ratio di Basilea crescono dal 15,7% di dicembre 2012 al 15,9% di marzo 2012.
Per quanto riguarda le svalutazioni dei crediti in conto economico sono passate per le banche europee dal 27,6% del 2009 al 16,3% del 2011.
Negli Usa le svalutazioni sono passate dal 36,5% all’11,5%. Nel 2011 i crediti dubbi lordi sono calati marginalmente dell’1,2% in Europa (a cambi costanti) e del 13% negli Stati Uniti, anche per effetto di operazioni di cartolarizzazione e cessione. La dinamica dei crediti dubbi al netto dei fondi rettificativi è tuttavia contrastante: in aumento del 15,7% negli Usa, in calo del 3,4% in Europa.
Inoltre il tasso di copertura in Europa aumenta marginalmente dal 49,6% del 2010 al 50,7% del 2011 mentre quello americano scende dall’82,7% al 77%. Tutti gli indicatori segnalano che il problema dei crediti dubbi è meno pressante negli Usa che in Europa: essi incidono per l’1% dei crediti erogati negli Stati Uniti contro il 2,6% nel Vecchio continente e assorbono il 6,3% dei mezzi propri tangibili contro il 30,5%. Il tema è particolarmente spinoso per le banche italiane (le 5 maggiori), che hanno incidenze su crediti e mezzi propri tangibili ampiamente superiori alla media europea e pari, rispettivamente, al 6,7% e al 90,1% (due istituti sono oltre il 100% e tutti sopra l’80% ad eccezione della sola Intesa Sanpaolo al 58,2%).
Un più realistico allineamento alla media europea comporterebbe per gli istituti italiani accantonamenti attorno a 5,7 mld euro (6,1% del patrimonio netto tangibile); se si volesse raggiungere la copertura dei maggiori istituti spagnoli (Bbva e Santander) l’onere sarebbe attorno ai 22 mld, ma se invece si volesse seguire la strada tedesca (Db e Commerz), allora si liberebbero risorse per 11,2 mld.
Dallo studio emerge anche che circa un quarto dell’attivo bancario degli istituti di credito europei è costituito da derivati.
L’attivo delle banche europee nel 2011 è aumentato del 4,8% (a cambi costanti e senza netting sui derivati). E’ l’effetto combinato del profondo deleveraging che ha coinvolto il portafogli titoli (-11,9% circa 600 mld euro in meno del 2010) e del rigonfiamento delle altre attività che aumentano del 28,6%, per oltre circa 1.579 mld euro, dei quali 1.453 mld relativi a maggiori derivati, posta che da sola cresce del 33%.
Importante anche la crescita della liquidità in aumento del 53,1% (+282 mld euro). Lieve la contrazione degli impieghi alla clientela (-1%), importante quella degli intangibles che si riducono del 9,8% per 247 mld euro, in buona parte per gli abbattimenti degli istituti italiani. I crediti alla clientela sono nel 2011 pari al 39,5% del totale dell’attivo, in calo dal 42,2% del 2009, diluiti dalla bolla dei derivati e dalla crescita della liquidità. Dal lato del passivo, la raccolta dei clienti è pari al 35,3%, in lieve crescita nel biennio, mentre cade la raccolta obbligazionaria (-10% sul 2010). La leva è in crescita nel 2011 a 28,9 volte, con mezzi propri pari al 4,4% del totale attivo (in riduzione dello 0,3% sul 2010).
Per quanto riguarda gli Usa, considerando i derivati al lordo, gli attivi si espandono del 9,8% sul 2010. A differenza dell’Europa, il portafoglio titoli si contrae solo in minima parte (-1,2%), mentre si espandono gli impieghi alla clientela (+1,7%). Analoga all’Europa la riduzione degli intangibles (-9,9%) e assai cospicuo l’aumento delle altre attività (+20,9% pari a +991 mld usd) integralmente imputabile ai derivati (+1068 mld, pari al 27,5% ). I derivati sono nelle banche Usa un fenomeno più rilevante che in Europa (sul totale attivo: 37,5% contro 23,9%). Dal lato del passivo, la raccolta obbligazionaria cade come in Europa (-11,6%). Il livello di patrimonializzazione resta superiore, con il capitale netto che rappresenta il 6,4% del totale attivo (in aumento del 5,9% sul 2010), mentre la leva si attesta a 22,7x, più bassa di quella europea e soprattutto in riduzione nel triennio (da 26,8x nel 2009).
Gli attivi di bilancio dei maggiori istituti europei restano pari ad oltre due volte il Pil dei Paesi sede. L’istituto meno importante rispetto al Pil del proprio paese è Commerzbank (25,7%), Credit Suisse quello più importante (345%). Hsbc ha il maggiore attivo tra le banche europee (2.195 mld. di euro), seguita da Deutsche Bank (2.164 mld.). Negli Usa Jp Morgan, con 4.058 mld di dollari, precede Bank of America (3.938 mld), ma le loro incidenze sul Pil sono limitate al 26/27%. Il Europa il deleveraging ha colpito soprattutto il portafoglio titoli che è caduto dal 47,7% del Pil aggregato nel 2009 al 40,9% nel 2011, ma i derivati sono cresciuti dal 42,8% al 53,2%. Negli Usa gli attivi sono all’87,4% del Pil, il portafoglio titoli è stabile attorno al 15%, mentre i derivati salgono dal 27,7% al 32,8%.