di Andrea Di Biase
Per ben due volte, la prima negli anni 80, la seconda negli anni 90 dopo lo scoppio di Mani pulite, Salvatore Ligresti era riuscito a evitare il tracollo del suo impero immobiliare. Allora era stato decisivo il supporto della Mediobanca di Enrico Cuccia che, pur imponendo pesanti sacrifici all’ingegnere di Paternò, era riuscita a portare il gruppo fuori dalle secche. Questa volta non è andata così, anche perché i rapporti tra la famiglia Ligresti e Mediobanca da tempo non sono più così idilliaci. E così ieri i giudici della seconda sezione civile del Tribunale di Milano, Filippo Lamanna, Roberto Fontana e Filippo D’Acquino, hanno dichiarato il fallimento di Sinergia e Im.Co le due società immobiliari del gruppo Ligresti, gravate da circa 400 milioni di debiti a fronte di un attivo, difficilmente liquidabile, di circa 290 milioni. Non sono bastati i 41 giorni concessi che i giudici, dopo la richiesta di fallimento avanzata dal pm Luigi Orsi, avevano concesso alle due società per approntare un piano di salvataggio credibile. La richiesta, arrivata nel corso dell’udienza di mercoledì, di una dilazione di altre due settimane per definire gli ultimi dettagli del piano, è stata infatti respinta dal tribunale. Decisivi in questo senso sono state da un lato la mancata adesione formale delle banche creditrici (ad eccezione di Cariparma) al piano di ristrutturazione, dall’altro le difficoltà riscontrate da Hines Italia Sgr nel trovare investitori disponibili a sottoscrivere le quote del fondo che avrebbe dovuto rilevare il patrimonio immobiliare delle due società, accollandosi debiti per 243 milioni e versando altri 50 milioni in contanti. Risorse che sarebbero servite a rimborsare il debito verso l’Erario e verso i creditori non aderenti all’accordo, mentre i restanti 100 milioni dovuti alle banche, tra cui Unicredit (esposta per circa 180 milioni) sarebbero stati coperti attraverso il passaggio agli istituti del 20% di Premafin detenuto da Sinergia e Im.Co e delle quote di alcuni fondi immobiliari. Il tribunale, anche alla luce di queste incertezze, ha dunque accolto la tesi del pubblico ministero, decretando il fallimento delle due società. Una decisione che apre scenari tutt’altro che rassicuranti non solo per la famiglia Ligresti ma anche per il buon esito dell’operazione di integrazione tra Unipol e Fondiaria-Sai. La dichiarazione di fallimento consente infatti alla Procura di Milano di aggiungere la bancarotta alle ipotesi di reato sulle quali sta indagando. Finora il pm Orsi ha aperto un fascicolo per ostacolo all’autorità di vigilanza e aggiotaggio, in cui sono indagati Salvatore Ligresti e Giancarlo De Filippo, il gestore dei trust off-shore cui fa capo un altro 20% di Premafin. Ma non è escluso che nei prossimi giorni il ventaglio delle indagini possa allargarsi anche alle ragioni che hanno portato al dissesto di Sinergia e Im.Co, che in passato hanno prosperato anche grazie alle operazioni con parti correlate realizzate negli anni con le società del gruppo Fondiaria-Sai. Non per niente, il cda di FonSai riunitosi ieri, dopo aver preso atto del fallimento di Sinergia e Im.Co, ha fatto sapere che il gruppo vanta crediti nei confronti delle due società, per contratti di compravendita di cosa futura, per un importo complessivo, al netto delle svalutazioni per 54,2 milioni effettuate nel bilancio 2011, di 155,1 milioni. A questi si aggiungono altri 21,4 milioni vantati da Banca Sai, di cui 10,9 milioni rappresentati da crediti chirografari, ed altri 33,5 milioni relativi a polizze fideiussorie a garanzia di impegni assunti da società del gruppo Sinergia. Complessivamente, dunque, l’esposizione al netto delle svalutazioni è pari a 210 milioni. FonSai ha inoltre comunicato che è pronta a insinuarsi al passivo delle masse fallimentari. Per quanto riguarda invece l’impatto del fallimento di Sinergia e Im.Co sul buon esito dell’operazione di integrazione tra Unipol e FonSai, molto dipenderà da quale sarà la sorte del 20% di Premafin in portafoglio alle due società fallite. Fonti vicine agli istituti di credito, che vantano un pegno su quella partecipazione, hanno fatto sapere che già da tempo, almeno da quando al vertice di Sinergia e Im.Co si è insediato Claudio Calabi (oggi nel ruolo di liquidatore), i diritto di voto sul 20% di Premafin fanno capo alle banche. Gli istituti, come sottolineato dall’ad di Unicredit, Federico Ghizzoni, sono dunque ottimisti sul fatto che il fallimento delle società di Ligresti non avrà contraccolpi sull’operazione Unipol. Tuttavia, secondo quanto appreso da MF-Milano Finanza in ambienti giudiziari, i curatori fallimentari delle due società, almeno a una prima lettura, considererebbero il pegno sul 20% di Premafin improcedibile. Se ciò fosse confermato dai fatti, i curatori potrebbero chiedere di essere rappresentati nel cda della holding ed eventualmente riesaminare il dossier sull’integrazione con Bologna. (riproduzione riservata)