di Andrea Di Biase
Se non è un harakiri poco ci manca. La decisione «irrevocabile » di Jonella e Paolo Ligresti di non rinunciare, come chiesto dalla Consob, agli impegni di manleva concessi da Unipol nell’ambito del piano di integrazione con Fondiaria-Sai e di non assumere, attraverso le proprie società personali, le lussemburghesi Hike Securities e Limbo Invest, alcun impegno in merito all’esercizio del diritto di recesso conseguente alla fusione di Premafin nella nuova compagnia, non equivale solo alla rottura, a questo punto pressoché definitiva, tra la famiglia Ligresti il gruppo bolognese guidato da Carlo Cimbri. La mossa dei due fratelli, condivisa anche dalla sorella Giulia, che avrebbe tuttavia deciso di non prendere una posizione ufficiale in coerenza con il proprio ruolo di presidente Premafin, e dal capofamiglia Salvatore Ligresti, rischia di avere pesantissime conseguenze non solo sull’intero gruppo immobiliare e finanziario costruito negli anni dall’ingegnere di Paternò, ma anche sui destini degli stessi componenti della famiglia. Il fatto che l’annuncio di Jonella e Paolo Ligresti sia arrivato venerdì 9 giugno in concomitanza con la nuova offerta di Sator e Palladio al cda di Fondiaria-Sai da un lato alimenta ancora di più i sospetti che i Ligresti, nonostante l’esclusiva concessa ai bolognesi lo scorso 29 gennaio, in questi mesi abbiano parallelamente portato avanti una trattativa con Matteo Arpe e Roberto Meneguzzo. Dall’altro lato non significa che ci siano ancora i tempi tecnici per mettere in piedi un’operazione alternativa, capace di rilanciare FonSai e di consentire alla famiglia di evitare una dolorosa fine, e di mantenere quei privilegi di cui ha goduto in tutti questi anni. Per il momento la proposta di Unipol è ancora formalmente valida e sarà dunque discussa dai cda di Fondiaria-Sai, Milano Assicurazioni e della stessa Premafin, i cui amministratori indipendenti sempre nella giornata di venerdì 8 giugno hanno dato il loro parere favorevole all’ipotesi di concambio avanzata dai bolognesi. La decisione dei Ligresti di rompere con Unipol, tuttavia, rischia di rendere sempre più concreta la realizzazione di tre eventi, tra loro correlati, che finora erano considerati solo scenari estremi. Innanzitutto le banche creditrici di Premafin, esposte per complessivi 368 milioni, nel caso in cui i Ligresti dovessero riuscire a far saltare l’operazione Unipol, sono sempre più determinate a escutere il pegno sul 33% di FonSai ricevuto come garanzia per il finanziamento. Già nella serata di giovedì 7 giugno il pool guidato da Unicredit, e del quale fa parte anche Mediobanca, ha inviato a Premafin l’ennesima lettera per intimare di chiudere in tempi rapidi l’operazione con il gruppo bolognese. In caso contrario le banche ritirerebbero l’ok alla ristrutturazione del debito e martedì 12 l’assemblea della holding non potrà approvare il bilancio 2011 con i presupposti della continuità aziendale. Da quel momento Premafin sarebbe tecnicamente in default e le banche otterrebbero subito il diritto di voto sul pacchetto di azioni FonSai, mentre l’escussione diventerebbe complessivamente efficace nel giro di 20 giorni. Da quel momento le banche potrebbero portare avanti direttamente il piano di rilancio della compagnia, presumibilmente sempre con Unipol quale cavaliere bianco. Per Premafin e i Ligresti ci potrebbero essere impatti sul fronte giudiziario. In caso di default con ogni probabilità la Procura di Milano avanzerebbe istanza di fallimento per la holding presieduta da Giulia Ligresti, così come già fatto per Sinergia e Im.Co, le due società immobiliari della famiglia. E contraccolpi ci potrebbero essere sulla stessa Fondiaria-Sai. Il rischio che l’authority presieduta da Giancarlo Giannini proceda al commissariamento di FonSai è infatti altissimo. Dal 10 gennaio la compagnia opera sul mercato con un margine di solvibilità inferiore alla soglia regolamentare del 100% e se finora l’authority lo ha consentito è solo perché sul suo tavolo c’era il piano di riassetto presentato da Unipol e sul quale l’Isvap si è già espresso, seppur in via preliminare, in modo favorevole. Non solo: nelle proprie valutazioni l’autorità di vigilanza ha posto nella discontinuità degli assetti proprietari una delle condizioni per dare l’ok al piano Unipol. In altre parole, per l’Isvap i Ligresti non solo dovranno uscire dalla gestione di FonSai ma non dovranno nemmeno avere un peso azionario rilevante nel nuovo gruppo. Un atteggiamento, questo, condiviso anche dalla Consob, che proprio per questa ragione ha posto come condizione per concedere a Unipol l’esenzione dall’opa il fatto che ai Ligresti non venisse riconosciuto alcun premio. Quindi, via le manleve e il diritto di recesso. Ma si supponga per un istante, come forse hanno fatto Jonella e Paolo Ligresti, che le banche finora abbiano bluffato e che pertanto decidano di non escutere il pegno, che la Procura rimanga inerte e che Sator e Palladio (sulla cui proposta si sono dimostrati critici anche i sindacati) abbiano di fronte a sé la possibilità di attendere, senza il rischio del commissariamento di FonSai, l’esito dell’istruttoria di Isvap e Consob sul proprio piano. Quante possibilità ci sarebbero che il piano alternativo vada in porto? Un’analisi della nuova proposta di Sator e Palladio può aiutare a dare una risposta. Arpe e Meneguzzo propongono una ricapitalizzazione di FonSai da 800 milioni in grado di apportare circa 36 punti percentuali al margine di solvibilità della compagnia, che a fine marzo era pari al 91,6%, salendo così sopra la soglia regolamentare del 100% e oltre il livello di sicurezza del 120%. Di questi 800 milioni, 400 sono pronti a metterli direttamente Sator e Palladio, nell’ambito di un aumento di capitale riservato che i due investitori intendono sottoscrivere mediante una società di nuova costituzione. Questa newco, che si finanzierà esclusivamente attraverso mezzi propri, non facendo ricorso quindi al debito (anche perché l’Isvap potrebbe non autorizzare un’operazione finanziata a leva), intende sottoscrivere nuove azioni FonSai a un prezzo compreso tra 2 e 2,5 euro per azione a fronte di una quotazione di borsa che alla chiusura di venerdì 9 era di 1,1 euro (il titolo ha guadagnato oltre il 10% dopo essere stato sospeso per eccesso di rialzo). Gli altri 400 milioni dovranno invece versarli gli attuali azionisti di FonSai (o eventualmente il mercato) attraverso il classico aumento in opzione, ma a un prezzo di emissione delle nuove azioni pari alla metà di quello pagato da Sator e Palladio nell’aumento riservato. Parliamo dunque di una forchetta compresa tra 1 e 1,25 euro. Di questa tranche della ricapitalizzazione Sator e Palladio si sono inoltre impegnati a sottoscrivere, sempre tramite mezzi propri, la quota di propria competenza, pari a circa l’8%, mettendo così sul piatto altri 32 milioni. Rispetto alle precedenti versioni dell’offerta, nel comunicato di Sator e Palladio spariscono i riferimenti all’impegno dei due investitori ad allestire un consorzio di garanzia capace di farsi carico dell’eventuale inoptato. Arpe e Meneguzzo lasciano però intravedere la possibilità che parte dell’aumento in opzione possa essere sottoscritto, se ce ne fosse la necessità, da «terzi investitori che hanno manifestato interesse nell’operazione», senza tuttavia specificarne l’identità. Sator e Palladio ritengono che la loro nuova offerta sia preferibile a quella di Unipol in quanto più favorevole agli attuali azionisti di FonSai.Non solo perché non prevede la fusione con Premafin, che comporterebbe l’accollo del debito della holding
e la corresponsione del diritto di recesso ai suoi azionisti, ma anche perché l’operazione è meno diluitiva per gli attuali soci della compagnia, compresa la stessa Premafin. E proprio qui sta l’aspetto più allettante per i Ligresti. Nel nuovo piano la famiglia, che lo scorso 14 maggio Sator e Palladio non avevano esitato a bollare come la principale responsabile del dissesto del gruppo, tanto da ritenere l’operazione Unipol fosse «finalizzata a garantire inaccettabili privilegi a chi ha controllato e gestito FonSai», potrà continuare ad avere un ruolo nell’azionariato della compagnia, con una quota post aumento compresa tra il 14-16 e il 22-25%, a seconda della quota di propria spettanza dell’aumento di capitale in opzione. Per sottoscrivere integralmente la propria quota Premafin avrebbe bisogno di circa 144 milioni. Risorse che la holding al momento non ha, visto che, senza un’imminente ricapitalizzazione, rischia seriamente la continuità aziendale. Nella prima versione della propria offerta, quella presentata a febbraio, Sator e Palladio si erano impegnati a sottoscrivere direttamente l’aumento di Premafin. Ora non più, ma hanno comunque manifestato la propria disponibilità a supportare la holding «nell’individuazione di idonea istituzione finanziaria/ investitore professionale che si impegni a finanziare Premafin per la sottoscrizione della quota di propria spettanza dell’aumento». Grazie a questa mossa, assieme al re-rating del titolo FonSai legato alla sottoscrizione dell’aumento riservato a 2-2,5 euro, nonché al turnaround della compagnia, Premafin potrebbe tornare in equilibrio finanziario e le banche creditrici invece che rinegoziare il debito non avrebbero altro da fare che riscadenziarlo. Ovviamente l’operazione, oltre che all’accettazione da parte del cda di FonSai, è subordinata all’autorizzazione dell’Isvap, cui non è stata presentata ancora alcuna documentazione, e al fatto che la Consob esenti Sator e Palladio dell’opa su FonSai e a cascata su Milano Assicurazioni. Qui potrebbero sorgere tuttavia alcuni problemi. Al di là dei tempi con cui la Consob dovesse pronunciarsi (Unipol ha dovuto attendere tre mesi), la possibilità concessa ai Ligresti e Premafin di continuare a partecipare alla governance di FonSai potrebbe trovare una ferma opposizione da parte dell’authority guidata da Giuseppe Vegas, che proprio per questo motivo aveva chiesto a Unipol di eliminare sia le manleve sia il diritto di recesso. (riproduzione riservata)