Buddy Fox
Gli Ias sono principi contabili internazionali di derivazione anglosassone con cui vengono redatti obbligatoriamente i bilanci delle società quotate e in via opzionale quelli delle altre società. Questi criteri contabili ci sono stati imposti, in alternativa a quelli nazionali, denominati Oic, dai mercati internazionali che avevano bisogno di principi di contabilizzazione meno rigidi nel loro ancoraggio al costo storico e al ricavo realizzato. Ma se gli Ias potevano costituire un utile strumento per la redazione dei bilanci delle banche e delle società finanziarie (ove non fossero stati utilizzati come volano per la creazione di una finta ricchezza) la loro estensione alle aziende industriali e commerciali è stato un gravissimo errore. Una vera e propria idiozia. Ci si accorge solo ora (io invero da sempre ne ho denunciato la pericolosità) perché oggi l’economia è in recessione e gli Ias sono stati pensati, da veri e propri prestigiatori, per una economia in continua crescita, dove ogni giorno si moltiplicavano i pani e i pesci, al solo passar di mano di un titolo lontanamente rappresentativo di un qualche valore aziendale concreto. Questi principi, poi, in mano alla corporazione dei revisori, che li applica con rigido formalismo, costituiscono un pericolo per la sopravvivenza delle imprese e per l’affidabilità dei loro bilanci. Spesso la sostanza delle operazioni è sopraffatta, nella sua rappresentazione a bilancio, dalla interpretazione formalistica del principio. Esattamente il contrario di ciò che gli Ias dichiarano di prefiggersi. I principi della prudenza e dell’effettivo realizzo del ricavo, tipici del sistema contabile tradizionale, sono principi ignoti agli Ias. Un soggetto che utilizza i principi contabili internazionali, per esempio, non può accantonare nel proprio bilancio i costi per la riduzione del personale sino a che la decisione assunta dal cda non viene portata a conoscenza dei sindacati (!). La situazione si è fatta ancora più intollerabile e pericolosa da quando il governo Prodi nel 2008 introdusse la tassazione a stretta derivazione Ias. Sicché, secondo i revisori, veri e propri sacerdoti integralisti dei principi contabili internazionali, il medesimo fatto economico potrebbe comportare una tassazione, se il contribuente applica gli Ias, che non si determinerebbe se il medesimo contribuente applicasse i principi Oic. Una vera assurdità per chi ha formato la propria cultura tributaria sul principio dell’articolo 53 della Costituzione, secondo il quale a parità di ricchezza prodotta la tassazione è la medesima per soggetti appartenenti alla stessa categoria. Ed è così che una brillante operazione di salvataggio di una grande impresa, che occupa alcune migliaia di persone, ottenuta tramite la conversione in capitale dei crediti delle banche – operazione che in ambito Oic non avrebbe comportato l’emersione di alcuna materia imponibile – adottando l’impresa salvata i principi contabili Ias, miracolosamente, secondo i custodi di questo nuovo sapere contabile, determinerebbe il sorgere di una sopravvenienza attiva tassabile. Giova ribadire che se quell’impresa avesse adottato i principi contabili nazionali non avrebbe dovuto iscrivere nel proprio bilancio alcuna sopravvenienza e, in conseguenza, non sarebbe stata soggetta ad alcuna tassazione. Quella impresa, non avendo le risorse per pagare le imposte su un reddito fittizio, rischia di chiudere i battenti e di mandare a casa tutti i propri dipendenti. I revisori – che mai nella storia di questo Paese sono stati capaci di denunciare uno scandalo finanziario (si veda da ultimo la vicenda FonSai, Premafin, Ligresti) – sono inflessibili come quel vigile che, dopo aver lasciato passare un’auto di rapinatori, vedendo un’autoambulanza superare il limite di velocità la ferma, insensibile alle sorti del trasportato, per infliggere la multa. Poco importa se l’infartuato non arriverà vivo all’ospedale: la legge è stata applicata. È di questo che il Paese non ha bisogno. Urge invece un provvedimento immediato che abolisca gli Ias o che ne limiti l’applicazione al solo comparto finanziario. (riproduzione riservata)