L’ad di Unicredit, Federico Ghizzoni, ha minimizzato, ma è inevitabile che il crac a monte della catena si ripercuota sulle quotate della galassia Ligresti, Premafin, Fonsai e Milano Assicurazioni. Tra l’altro, proprio le tre società coinvolte nella maxi-fusione con il braccio assicurativo di Unipol. Secondo gli analisti interpellati da B&F, il fallimento di Imco e Sinergia, deciso il 14 giugno dal Tribunale di Milano, non avrà tanto ripercussioni finanziarie sull’integrazione con Via Stalingrado quanto piuttosto possibili retaggi legali. Interpellato sulle conseguenze del crac delle società dell’ingegnere Salvatore, che assemblano il 20% di Premafin (la partecipazione, secondo indiscrezioni, già da un po’ di tempo sarebbe in mano alle banche finanziatrici), Ghizzoni ha sottolineato che le holding e i piani a valle nella catena di controllo «sono legati dal filo conduttore della famiglia, ma le aziende sono separate». Nella vicenda, sono rilevanti gli interessi in gioco di Unicredit: non soltanto è la prima banca creditrice del sistema Imco-Sinergia, con oltre 180 milioni (335 milioni il totale dell’indebitamento bancario delle holding, ossia gran parte del passivo da totali 400 milioni), ma è anche socia diretta di Fonsai, al 7% e principale finanziatrice di Premafin, per oltre 150 milioni considerando anche il contratto di equity swap. A determinare l’orientamento dei giudici verso il fallimento, un ruolo di primo piano l’avrebbero giocato proprio le banche creditrici, «colpevoli» secondo il Tribunale di non avere raggiunto l’atteso accordo ex 182 bis della legge fallimentare, che contempla proprio la ristrutturazione del debito. A questo punto, gli istituti creditori potrebbero opporsi al falllimento, anche se sembra trattarsi della strada meno probabile.
Oltre alle banche, sia Fondiaria-Sai, la cui quota di controllo del 36% è in mano a Premafin, sia Milano Assicurazioni presentano una esposizione verso il sistema Imco-Sinergia pari a 275 miliardi lordi. A livello netto, la cifra dovrebbe scendere intorno ai 200 milioni, suddivisi, secondo i calcoli di un analista specializzato in assicurazioni che preferisce mantenere l’anonimato, in 105 milioni per la compagnia guidata dall’ad Emanuele Erbetta e in 80-90 milioni per la controllata con oltre il 60 per cento. Ipotizzando che i creditori, con l’insinuazione al passivo, riescano comunque a recuperare il 50% dell’esposizione nell’ambito della procedura fallimentare, si arriva a calcolare una perdita effettiva nell’ordine del centinaio di milioni per Fonsai e Milano Assicurazioni messe insieme. Una cifra che, secondo lo stesso analista, difficilmente potrà modificare in maniera sostanziale i concambi di fusione relativi all’operazione con Unipol. «Basti pensare – fa notare l’esperto in assicurazioni – che per la sola Milano dovrebbe trattarsi del 5-6% del patrimonio tangibile». Cosa da poco, insomma, che dovrebbe smorzare gli entusiasmi dei fautori della fusione con il gruppo di Via Stalingrado che speravano in una correzione dei concambi sulla Milano tale da mettere al sicuro Unipol dal lancio di un’Opa. La settimana prossima, infatti, dovrebbe giungere l’atteso verdetto di Consob – che qualcuno tempo addietro dava per sfavorevole a Bologna – sull’esenzione dall’offerta sulla società più a valle della galassia Ligresti. «In ogni caso – afferma l’analista – in base alle quotazioni di Borsa, il costo di un’Opa su Milano Assicurazioni è quantificabile in 190 milioni, che mi sembra il minore dei mali considerato quello che sta succedendo». Non solo: nel caso, remoto, in cui dovesse essere necessario rivedere i valori di fusione (61% del nuovo gruppo a Bologna, 27,45% a Fonsai, 10,7% a Milano e 0,85% a Premafin), a ribilanciarli, a parere dell’esperto, potrebbero contribuire i crediti non performanti di Unipol Banca, che potrebbero essere aumentati alla luce della fase recessiva che sta attraversando l’economia italiana. Senza contare che un aggiustamento dei pesi indotto dal crac di Imco e Sinergia potrebbe anche non passare dai concambi ma prevedere semplicemente qualcosa in più per il gruppo guidato da Carlo Cimbri.
La perdita legata al fallimento Imco-Sinergia, inoltre, non dovrebbe incidere nemmeno sull’aumento di capitale da 1,1 miliardi che l’assemblea degli azionisti di Fonsai si appresta ad approvare nuovamente il 26 giugno (il primo via libera non è valido per un vizio di forma) e che rappresenta uno dei tasselli essenziali in vista della fusione con Unipol. «Buona parte della ricapitalizzazione – commenta Enrico Esposti, analista di Icbpi equity research – è più che altro legata al successo del piano bolognese». Piano che appena una settimana fa sembrava vacillare per il duro colpo inferto dai due soci di Premafin, Jonella e Paolo Ligresti (hanno poco più del 10% a testa della holding quotata), che avevano dichiarato di non volere rinunciare alla manleva inizialmente concessa da Unipol e poi rimossa perché altrimenti Consob avrebbe l’imposto l’Opa su Fonsai e la controllante. Poi però, l’iniziale atteggiamento dei due fratelli, ostruzionista verso la fusione, è apparso totalmente mutato con l’assemblea di Premafin del 12 giugno, in occasione della quale hanno votato a favore dell’aumento di capitale da 400 milioni riservato a Bologna, pur chiedendo che siano prese in considerazione anche altre offerte. La tesi dei Ligresti è che sia caduta l’esclusiva con Unipol e il riferimento è a Sator e Palladio, i due contendenti di Via Stalingrado nella battaglia su Fonsai, che proprio nei giorni scorsi hanno presentato un esposto in Consob, mettendo anche l’Isvap in conoscenza, per denunciare alcuni fatti degli ultimi giorni (tra questi, potrebbe esserci anche la misteriosa convocazione in Mediobanca del 12 giugno della famiglia Ligresti, dopo la quale i due fratelli «eretici» si sono recati in assemblea). Nonostante il voto a favore dell’aumento, quello della manleva – ora che è stato decretato il fallimento di Imco e Sinergia poi più che mai – costituisce un terreno di scontro tra i Ligresti e Unipol. C’è, pertanto, chi non esclude che la famiglia siciliana, una volta chiusa l’operazione di fusione, faccia causa a Bologna per inadempimenti contrattuali. Tuttavia, il rischio maggiore che l’integrazione corre in questo momento è quello dei risvolti legali del crac a monte. Esprime bene il concetto la nota del 15 giugno di Esposti di Icbpi: «Riteniamo che la dichiarazione di fallimento e l’inserimento, tra le accuse, del reato di bancarotta fraudolenta, possano ripercuotersi anche sul Gruppo Fondiaria. Le indagini e le eventuali revocatorie potrebbero inoltre colpire tutti coloro che hanno intrattenuto rapporti d’affari con i due soggetti». Venerdì 15 giugno è emerso che, oltre al fascicolo già aperto per aggiotaggio e ostacolo all’Autorità di vigilanza per i movimenti sul titolo Premafin, i magistrati starebbero avviando accertamenti anche su tutte le operazioni realizzate dalle due holding fallite. In particolare, l’obiettivo degli inquirenti sarebbe quello di gettare luce su tutti movimenti di denaro in entrata e in uscita dalle casse di Sinergia e Imco per valutarne la congruità e capire come si sia arrivati al crac. Insomma, una situazione complessa, che sembra avere indotto alla cautela anche le banche che compongono i consorzi di garanzia legati alla fusione. Non a caso, Il Messaggero del 15 giugno riferiva che gli istituti di credito, dopo essersi incontrati il 14, avrebbero deciso di riaggiornarsi nel giro di due settimane. Dalla riunione sarebbe, però, emersa una certa prudenz
a a stabilire un tabellino di marcia per l’operazione. Che a questo punto, non è escluso possa slittare oltre il 20 luglio, data della scadenza dell’offerta di Unipol. Quel che emerge da indiscrezioni è che se fino a poco tempo fa l’idea era quella di avviare gli aumenti di capitale previsti dal piano bolognese prima di quella data, ora sembra sia piuttosto realistica la possibilità di procedere a settembre, dopo la pausa estiva. Nel frattempo, oltre al verdetto di Consob sull’Opa, si attendono anche i via libera di Isvap e Antitrust.