di Giovanni Barbara*
Con una recente circolare, Assonime, l’associazione che raggruppa le società per azioni italiane, è intervenuta sul tema della responsabilità amministrativa degli enti per analizzare il decreto legislativo 121/2011 che ha modificato il dlgs 231/2001 (la cosiddetto Legge 231) aggiungendovi alcune ipotesi di reati ambientali. Il documento dell’Associazione si prefigge soprattutto di valutare l’impatto di questa ennesima estensione della responsabilità da reato degli enti sull’organizzazione delle società interessate. Dal confronto con la normativa comunitaria (di cui il citato dlgs 121/11 costituisce attuazione) emerge che il legislatore italiano, a differenza di quello comunitario, definisce quelli ambientali come reati di pura condotta e di pericolo presunto, prescindendo dall’offesa a un concreto bene giuridico. Si è venuta così a realizzare una «forte anticipazione della tutela penale […] con un effetto moltiplicatore delle sanzioni a carico delle imprese palesemente sproporzionato». Secondo Assonime, inoltre, le fattispecie contemplate dalla Legge 231 hanno per lo più natura contravvenzionale e, pertanto, potrebbero essere imputabili all’ente a titolo di colpa, anche semplice, e non per dolo o grave negligenza, come richiesto dalla disciplina comunitaria. Con riferimento alla costruzione di idonei modelli organizzativi, l’Associazione evidenzia la difficoltà di individuare concretamente le condotte vietate e, pertanto, di condurre un’attività di monitoraggio delle aree di rischio, a causa sia della tecnica legislativa con cui sono costruiti i precetti – i quali rinviano ad atti amministrativi, esterni alla norma penale – sia dell’estrema eterogeneità dei reati ambientali «presupposto». È interessante anche la disamina condotta in merito al rapporto tra modelli 231 e i cosiddetti Sga (Sistemi di gestione ambientale), elaborati secondo i requisiti dettati dallo standard IS0 14001 e dal Regolamento europeo Emas. In particolare, è stata sollevata la questione circa la necessità, per l’impresa che abbia adottato un efficace Sga, di predisporre anche un separato modello 231, oppure se detto modello possa essere contenuto all’interno dello stesso Sga, con – in caso di certificazione di tale sistema – una conseguente «presunzione di conformità » anche del modello 231. Assonime sembra optare per la prima soluzione, in considerazione del fatto che lo Sga e il modello 231 perseguono finalità diverse, seppur entrambi orientati alla prevenzione e, quindi, suscettibili di eventuale integrazione. È comunque ritenuto necessario potenziare lo Sga con una serie di attività integrative quali, ad esempio: a) l’identificazione specifica, nell’analisi ambientale condotta nella predisposizione dello Sga, degli ambiti aziendali rilevanti rispetto ai reati ambientali; b) la valorizzazione delle sinergie tra politica ambientale e codice etico; c) la maggiore evidenza, per le aree a rischio di reato, della separazione tra compiti e funzioni, evitando in tal modo l’eccessiva concentrazione di ruoli in capo a una figura unica; d) l’arricchimento delle procedure e degli strumenti di gestione ambientale, controllo e monitoraggio con misure dedicate specificamente alla prevenzione dei reati. Rimane ovviamente centrale l’istituzione dell’Organismo di vigilanza e la definizione chiara dei relativi compiti. Al riguardo, Assonime rileva che, qualora le funzioni di questo organismo siano attribuite al collegio sindacale, quest’ultimo potrà avvalersi di consulenti esperti in materia ambientale. (riproduzione riservata) * partner, KStudio Associato (Kpmg)