Riassorbiti gli effetti della crisi, migliorano le performance
di Gabriele Frontoni
Italiani sempre più ricchi. La crisi internazionale non ha fatto sentire i suoi effetti sui patrimoni delle famiglie, che lo scorso anno sono riuscite addirittura a migliorare il saldo delle proprie disponibilità arrivando a toccare il massimo storico di 9.732 miliardi di euro, con una crescita media annua tra il 2003 e il 2010 del 2,83%. Ma sono gli High Net Worth Individual, meglio noti come Paperoni, la vera sorpresa di questo ultimo scorcio di decennio in Italia. Alla fine del 2010, infatti, il livello delle loro ricchezze è cresciuto del 3,2% toccando i 910 miliardi di euro suddivisi tra 639 mila famiglie. La conferma arriva dai dati dell’osservatorio PricewaterhouseCoopers che in tandem con l’Università di Parma ha scandagliato i movimenti dei patrimoni delle famiglie italiane. Scoprendo che oggi a sud delle Alpi vivono 638 mila famiglie di super ricchi dotate di un patrimonio medio di 1,44 milioni di euro, in forte crescita rispetto agli 1,1 milioni detenuti dai super ricchi nel 2003. Di questa situazione hanno saputo approfittare i protagonisti del private banking, che per il quarto anno consecutivo sono riusciti incrementare sensibilmente la percentuale di ricchezza delle famiglie gestita direttamente da strutture dedicate ai Paperoni. Basti pensare che oggi il 47% dei super ricchi italiani ha deciso di rivolgersi a un private banker di fiducia per gestire al meglio i propri capitali. Percentuale piuttosto consistente, che sembra crescere a ritmi sostenuti, se si pensa che solo quattro anni fa i paperoni sedotti dal mondo del private erano quasi il 7% in meno. «Gli effetti della crisi dei mercati si stanno riassorbendo, la raccolta netta è costantemente positiva, e il 2010 si è concluso con un segno più anche sulle performance dei portafogli nonostante un inizio di anno incerto», spiegano gli esperti dell’Aipb, l’Associazione italiana private banking, che hanno rilasciato i primi dati sull’andamento del settore nel 2010. È così che si scopre che in Italia le masse gestite direttamente dalle strutture private sono cresciute in un solo anno (tra il 2009 e il 2010) del 6,8%, a 421 miliardi di euro. «I clienti delle strutture di private banking utilizzano in media 2,5 intermediari affidandosi anche a modelli di servizio differenti. Quando si parla di una clientela private le componenti del servizio che bisogna considerare determinanti per la scelta dell’istituto sono la professionalità del referente, l’offerta di servizi adeguati e la qualità delle informazioni ricevute indipendentemente dal business dell’istituto di riferimento». In realtà il grosso della torta viene ancora gestito dalle grandi banche commerciali (265 miliardi su un totale di 421, pari al 63% del mercato) che lo scorso anno sono riuscite ad aumentare la propria quota di capitali gestiti nel segmento private dell’8,5%. Mentre le banche estere, le business unit o le società specializzate gestiscono, in media, tra i 40 e i 60 miliardi di euro ciascuna. Ma come tendono a investire i Paperoni di casa nostra? I portafogli della clientela private italiana presentano delle differenze sostanziali rispetto a quelli del resto d’Europa, Come prima cosa, la clientela italiana privilegia investire una quota superiore del proprio portafoglio in prodotti di investimento, lasciando solo l’11,8% in depositi contro il 24% della media europea. Non solo. La percentuale di obbligazioni e titoli di Stato nei portafogli delle famiglie abbienti italiane è più che doppia rispetto all’Europa, strutturando il portafoglio in funzione di un flusso di reddito costante. Infine, il popolo dei super ricchi dell’Eurozona sembra più incline a delegare le scelte di investimento al gestore. Infatti la percentuale di portafoglio in delega la gestione patrimoniale nel 2010 risulta in Italia inferiore del 4% rispetto alla clientela Private del resto d’Europa, servita da strutture specializzate. (riproduzione riservata)