La riforma dei limiti agli investimenti, congelata da tre anni al Tesoro, sembra finalmente riavviata. Perchè i fondi pensione investano in private equity servono strutture interne adeguate di gestione del rischio. Covip favorevole
Con i mercati azionari ancora incerti e con quelli obbligazionari sotto lo scacco della crisi del debito greco, l’investimento in private equity viene riscoperto come alternativa intelligente di diversificazione del portafoglio da parte degli investitori. Compresi i fondi pensione italiani, che finora si erano in genere tenuti a debita distanza da questo settore, con poche eccezioni rappresentate soprattutto dalle casse di previdenza degli ordini professionali.
E la riforma dei limiti agli investimenti dei fondi pensione potrà rappresentare la molla che spingerà i fondi pensione a strutturarsi in modo tale da essere in grado di investire in maniera adeguata anche in fondi di private equity. Negli ultimi mesi, infatti, il dirigente generale della Direzione IV del Dipartimento del Tesoro, Alessandro Rivera, ha più volte ricordato che a breve il Tesoro pubblicherà un nuovo documento di consultazione per il rinnovo del decreto del ministero del Tesoro n. 703/96, dopo quello pubblicato tre anni fa e rimasto poi congelato.
I numeri. A oggi, infatti, l’investimento in private equity da parte dei fondi pensione italiani rappresenta davvero una minima parte del totale della raccolta. Come evidenziato nei grafici in pagina, secondo i dati dell’Associazione italiana per il private equity e il venture capital (Aifi), dai fondi pensione è arrivato solo il 4,8% del totale dei 2,2 miliardi di euro raccolti dai fondi italiani nel 2010, una cifra che però è stata raggiunta soltanto grazie agli 1,2 miliardi raccolti dal Fondo italiano d’investimento voluto dal governo e sponsorizzato dalla Cassa Depositi e prestiti e dalle principali banche italiane (non a caso il peso della raccolta delle banche è del 40,7%). Per contro, i fondi pensione restano in Europa i principali investitori nel private equity.
La legge permette già ai fondi pensione di investire. Lo scarso interesse dei fondi pensione italiani per il private equity sopravvive nonostante il fatto che la legge non vieti ai fondi pensione di investire in private equity. Anzi. Fino all’anno scorso i fondi cosiddetti preesistenti, cioè quelli istituiti prima della legge del 1993, erano totalmente liberi nel decidere dove e quanto investire, mentre il decreto del ministero del Tesoro 703/96 stabilisce che i fondi di nuova istituzione, aperti e contrattuali, possono investire in fondi comuni di investimento chiusi, e quindi nei fondi di private equity oltre che nei fondi immobiliari, fino al 20% del patrimonio del fondo pensione e fino al 25% del valore del fondo chiuso. Limiti, questi, piuttosto ampi, che non dovrebbero rappresentare un problema all’investimento e che non danneggiano i fondi preesistenti, che l’anno scorso, a tre anni dall’entrata in vigore del decreto legge n.62/2007, si sono dovuti adeguare alle norme del dm 703/96.
Detto ciò, è un fatto che finora i fondi pensione non hanno sfruttato quasi per nulla questa normativa. Ad ammetterlo sono gli stessi fondi pensione che hanno risposto a inizio anno alla terza indagine condotta dal Mefop (la società del Tesoro per lo sviluppo del Mercato dei Fondi Pensione) sulla gestione finanziaria nella previdenza complementare. L’indagine rivela infatti che tra i fondi pensione prevale ancora un comportamento prudente nei confronti delle asset class non tradizionali. Un atteggiamento che è stato proprio anche dei fondi preesistenti. E i fondi pensione motivano lo scarso uso di tali strumenti con il costo, giudicato ancora troppo elevato, e soprattutto con l’inadeguatezza delle strutture di risk management, ritenute non ancora in grado di gestire opportunamente la maggiore complessità di tali asset class. Quindi, se la nuova versione del decreto dovesse spingere i fondi pensione a dotarsi di strutture interne adeguate di gestione del rischio, allora è possibile immaginare che il principale ostacolo agli investimenti in private equity sarebbe rimosso.
Come cambierà la normativa. Il documento del Tesoro messo in consultazione tre anni fa sul nuovo dm 703/96 faceva riferimento ai principi generali della disciplina introdotta dalla Direttiva europea in tema di attività e di supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali (cosiddetta Direttiva Epap) e di un modello, basato sulla «prudent person rule», che responsabilizza maggiormente i fondi pensione, affidando loro un ruolo più attivo nel controllo dei rischi e consente un maggior grado di libertà nelle scelte gestionali. E le attese sono che questo concetto venga ben ripreso anche nella nuova versione del documento del Tesoro, tanto che i fondi più grandi si stanno già attrezzando.
«Per quanto ci riguarda per il prossimo autunno saremo pronti con una struttura adeguata per interagire alla pari con gestori nel settore del fondi di private equity e dei fondi immobiliari», spiega a MF-Milano Finanza Fabio Ortolani, presidente di Cometa, il fondo pensione dei metalmeccanici, con un passato come membro del consiglio di Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione. «Saremo così in grado di impostare un’asset allocation in linea con i nostri obiettivi di fondo pensione e in base a quella sceglieremo i gestori e manterremo con loro un rapporto di comunicazione costante», precisa Ortolani. Il fondo Cometa aveva già previsto da tempo per due dei suoi comparti (il Reddito e il Crescita) la possibilità di investire in materie prime, private equity e fondi immobiliari previa verifica e confronto con l’Autorità di Vigilanza. E la Covip non dovrebbe avere nulla da ridire. Anzi. Lo scorso aprile Covip ha risposto infatti a un quesito avanzato dall’Aifi per conto dell’associato Perennius capital sgr, confermando la linea interpretativa di Perennius in tema di dm 703/96: non possono sussistere limitazioni di natura geografica a investimenti effettuati dai fondi pensione tramite i fondi chiusi, in particolare al di fuori dell’area Ocse. Peraltro sempre la Covip ha di recente autorizzato Solidarietà Veneto, il fondo preesistente del sindacato del legno/mobile e delle costruzioni, a investire una parte delle contribuzioni sul territorio di raccolta, avallando di fatto gli investimenti del fondo in veicoli di private equity dedicati alle pmi locali. (riproduzione riservata)