di Marco Caprotti*
Torna di moda avere un orizzonte geografico internazionale. A dirlo sono gli ultimi dati di raccolta dei fondi negli Stati Uniti. Dopo aver perso asset nei primi due mesi del 2011, i fondi azionari internazionali a marzo hanno visto una raccolta netta di 6,7 miliardi di dollari e poi, ad aprile, una superiore ai 7 miliardi.
«Questo non significa che gli investitori stiano abbandonando, per esempio, i mercati emergenti», spiega uno studio di Esther Pak, analista di Morningstar. «Più semplicemente, in questo momento vogliono avere in portafoglio anche prodotti che non hanno limitazioni geografiche per sfruttare al massimo le promesse di ripresa globale». Questo tipo di fondi dà una forte flessibilità. «Molte multinazionali occidentali, ad esempio, ottengono una parte consistente dei loro guadagni all’estero», continua lo studio. «Questo permette all’investitore di puntare su società conosciute di paesi sviluppati, ma di sfruttare le possibilità che offrono anche altre zone del pianeta». Questo sistema di lavorare permette al gestore di puntare sulle singole aziende senza dovere per forza rispettare i parametri di un benchmark prestabilito.
«Detto questo, bisogna precisare che non tutti i fondi internazionali sono uguali», continua l’analista di Morningstar. «Un importante elemento da tenere in considerazione sono i costi del prodotto. Non è detto che le commissioni più alte siano indice di maggiore valore del fondo. Una prima scrematura, quindi, può essere effettuata cercando quelli che hanno un Ter (Total expense ratio, la somma delle commissioni che incidono sul rendimento) più basso della media di categoria. Un altro discrimine è l’esperienza del gestore».
* Editor & analyst di Morningstar Italy www.morningstar.it