Teresa Campo
A questo punto il vero problema è: come si esce dall’impasse in cui si trova il Superbonus 110%? Quali i passi da compiere per salvarlo? E soprattutto, cosa serve davvero perché sia la svolta definitiva ovvero per evitare che a ogni modifica per risolvere un problema segua una voragine di effetti collaterali? Accolto con grande entusiasmo fin dalle prime battute grazie alla promessa dell’«è tutto gratis», il provvedimento è subito inciampato in una serie di difficoltà che ne hanno ostacolato il cammino, solo in parte giustificate dalla complessità della materia e dai controlli necessari per la sua applicazione. Difficoltà che nel tempo hanno portato quasi alla paralisi, al punto che in molti sono pronti a recitarne il de profundis.
Eppure, insieme a incertezze ed effetti collaterali, il Superbonus 110 ha anche portato importanti risultati, a cominciare dalla scrollata al settore dell’edilizia che era ai minimi termini all’indomani del primo lockdown. I numeri parlano chiaro: nel 2021 gli investimenti in costruzioni sono aumentati del +16,4% e la produzione del 24,1%. Al 31 marzo 2022 gli interventi legati al Superbonus 110% hanno toccato quota 24,2 miliardi di euro, e nello stesso periodo i bandi di progettazione sono cresciuti del 3,1% nel loro valore rispetto a un anno prima, e invece addirittura del +214% è l’aumento degli importi banditi per i lavori pubblici nel primo bimestre 2022. In complesso la misura nel suo primo anno ha contribuito a un terzo del Pil e creato 300 mila posti di lavoro. Il tutto facendo nel contempo bene all’ambiente.
Quanto invece agli aspetti negativi, «la madre di tutti i problemi è che fin dal primo giorno si è parlato di modifiche del Superbonus, a cominciare dalla sua durata. E questo non ha fatto che generare incertezze su incertezze», spiega Regina De Albertis, presidente di Assimpredil Ance, «da qui nasce anche la corsa a varare subito i progetti e ad accaparrarsi le imprese, con un duplice effetto negativo: il boom dei costi dei materiali, almeno del 30% in un anno l’aumento dei costi di costruzione, complice l’aumento dell’energia legato alla guerra in Ucraina, e poi il lievitare a dismisura di nuove imprese edilizie. Solo nel 2021 ne sono nate 11.600, per lo più composte da una sola persona». A questo si è aggiunto in seguito il blocco della cessione dei crediti, l’elemento che ha letteralmente paralizzato il settore. E adesso? La buona notizia è che, sebbene il mercato sia tuttora fermo a causa del blocco della cessione dei crediti e i costi di costruzione continuino a correre, qualche passo in avanti si sta facendo. «Il primo è appunto una cernita più severa delle imprese di costruzione, nel senso che oggi possono operare solo quelle che applicano il contratto nazionale dell’edilizia», prosegue De Albertis.
Qualcosa si sta muovendo anche sul fronte della cessione dei crediti, ma è ancora presto per valutare l’impatto del provvedimento. Il decreto legge Aiuti entrato in vigore il 18 maggio infatti effettua una revisione della normativa sulla cessione dei crediti di imposta, introducendo la possibilità, per la banca e i soggetti appartenenti a un gruppo bancario, di cedere in ogni momento i crediti già acquistati in favore dei «clienti professionali privati». Sembrerebbe quindi uno sblocco, ma è ancora presto per dirlo, nel senso che già serpeggiano i dubbi. Dalle banche infatti per ora bocche cucite, nel senso che stanno valutando il provvedimento e soprattutto la disponibilità (e possibilità) dei loro clienti di acquistare i crediti. E poi, a che prezzo saranno disposti ad acquistarli? Non rischia di essere troppo basso visto che, giustamente, ogni intermediario si aspetta di guadagnarci qualcosa? E questo tanto più che tali soggetti, come recita la circolare dell’Abi, non hanno facoltà di cedere ulteriormente i crediti acquistati. In tema di scadenze invece, sempre il decreto Aiuti conferma la proroga della scadenza del Superbonus a fine 2022 a patto che al 30 settembre (dal precedente 30 giugno fissato nella legge di Bilancio 2022) sia già stato completato almeno il 30% dell’intervento complessivo, e che in questa quota rientrano anche lavori non agevolati dal Superbonus.
Insomma, qualche passo in avanti, ma sono siamo ancora alla svolta risolutiva. Anche perché cosa accadrà quando si arriverà davvero a scadenza? «Quello che servirebbe è un intervento strutturale, così come accaduto per altri bonus fiscali che da un certo momento in avanti sono stati resi stabili nel tempo», propone De Albertis. «I vantaggi sarebbero immediati ed evidenti: in primis non sarebbe più necessaria la corsa ad avviare subito i progetti di riqualificazione, sgonfiando così almeno in parte l’impennata dei prezzi dei materiali, consentendo anche alle imprese di programmare meglio attività e assunzioni, invece di sovrastrutturarsi in funzione di impegni che tra un anno non ci saranno più. Certo, impossibile pensare che la misura venga resa strutturale con un’aliquota del 110%, ma si può ragionare sul percentuali inferiori». Quanto inferiori per ora nessuno si azzarda a dirlo, pena il sollevarsi di un coro di proteste. Ma questa sembra la strada su cui vuole incamminarsi anche il governo, uniformando le aliquote dei vari bonus. Quello facciate dal 90% è già stato ridotto al 70%, ed è forse questo il livello cui si andrà a tendere.
Del resto anche altri protagonisti del settore immobiliare non difendono il Superbonus così com’è. «Come diciamo da tempo, è una misura costosa, non sostenibile nel tempo che, anche se nel breve ha consentito un rilancio del settore edile, ha causato una crescita esponenziale dei costi dei lavori e inflazionato il mercato», sostiene Silvia Rovere, presidente di Assoimmobiliare. «Non solo: la Direttiva Europea Epbd sulla performance energetica degli edifici, che ha l’obiettivo di migliorare il 15% del patrimonio edilizio con le prestazioni peggiori di ciascuno Stato – entro il 2027 per gli edifici non residenziali e il 2030 per quelli residenziali – impone un cambio di strategia. Occorre garantire una sostenibilità nel medio/lungo periodo anche per quanto riguarda l’uso di risorse pubbliche». Gli incentivi attuali si concentrano solo sul residenziale, escludendo una parte rilevante del patrimonio immobiliare come uffici, negozi, hotel e centri commerciali, così come tutti i veicoli di investimento e in particolare degli Oicr-Organismi di Investimento collettivo del risparmio. «Tutto ciò impedisce di portare agli obiettivi di transizione green le formidabili risorse del risparmio delle famiglie e dei privati, cioè si rinuncia ad attivare risorse che potenzialmente valgono oltre 96 miliardi», prosegue Rovere. «In ultimo, si potrebbe migliorare l’utilizzo degli incentivi con premialità per gli edifici che raggiungono standard definiti e stabilizzati nel tempo. A questo fine, servirebbero politiche che favoriscano strutturalmente la realizzazione e il possesso di immobili green: ad oggi, l’Italia è l’unico Paese europeo che non incentiva l’acquisto di nuove case in classe energetica A+. (riproduzione riservata)
Per il Pnrr mancano le imprese
Superbonus 110 e Pnrr, un binomio che procede parallelamente, al quale vanno fatti urgenti modifiche per non andare a sbattere. L’aumento dei costi delle materie prime sta mandando in tilt i bilanci dei Comuni. Basti pensare all’aumento del 35% del prezzo dell’illuminazione pubblica e del costo energetico degli edifici comunali, di musei, biblioteche, impianti sportivi, piscine, scuole, asili, per il quale i Comuni saranno costretti a spegnere le illuminazioni, aumentare le tasse, fare tagli su servizi essenziali e sociali alle persone e tagli al personale. Qualche risposta è arrivata dal Governo ma ancora non sufficiente, soprattutto per i comuni medi e piccoli. Ora si aggiunge l’allarme investimenti pubblici.
Si tratta di un tema molto sentito da noi sindaci, dal Comune più piccolo al Comune più grande. Inflazione e caro prezzi rischiano di non far partire i cantieri per la realizzazione del Pnrr. Già scontiamo una lentezza burocratica, come evidenziato più volte, per la quale chiediamo velocità. Anche su questo ci sono stati piccoli passi avanti sulle semplificazioni, ma oggi evidenziamo un altro problema enorme, quello della messa a terra degli investimenti. Nei Comuni che hanno preso delle risorse e hanno cominciato a fare le prime gare, vediamo che le gare vanno deserte, perché non ci sono le imprese che eseguono i lavori pubblici. Dall’ultimo confronto in occasione del convegno a Roma ‘Allarme Pnrr e investimenti pubblici’ abbiamo convenuto che la possibile causa di quanto sta accadendo è sicuramente nell’aumento del costo delle materie prime, che fa scappare le imprese perché non vedono margini ma rischi. Le imprese non se la sentono di rischiare per gli aumenti non calcolati dei prezzi. Dall’altro c’è un incentivo eccessivo sull’edilizia privata. Il superbonus 110%, del quale sono sempre stato un sostenitore, oggi è drogato, rafforza l’inflazione e diventa l’incentivo per spostare le imprese verso l’ecobonus e non sugli investimenti pubblici. L’80% delle imprese che si occupano di lavori pubblici fanno anche edilizia privata. La proposta di Ali è concreta. Uno, serve un fondo strutturale molto più grande di quello del Dl Aiuti per completare i lavori pubblici. Due, prendere atto che c’è un problema di costi legato all’inflazione che quando è stato pensato il Pnrr non c’era. L’idea non è tanto quella di chiedere di rivedere il Pnrr. Non si tratta di cambiare le sei missioni ma trovare una soluzione per contrastare l’aumento del costo delle materie prime. Dei 200 miliardi del Pnrr si potrebbero destinare 20 oppure 30 per questo, magari facendo meno ma assicurandosi di portare a termine i lavori. Tre, riequilibrare gli ecobonus sulla casa. Se oggi il 110 diventasse 90 avrebbe lo stesso effetto sull’impresa privata e avremmo più imprese disponibili per gli investimenti pubblici. La ministra Gelmini ha sottolineato che questo è il governo della crescita, del lavoro e delle imprese.
Siamo certi che il Governo Draghi accoglierà la nostra richiesta. E’ il momento di fare scelte intelligenti: realizzare qualcosa in meno ma avere la certezza di poterlo completare. (riproduzione riservata)
*Sindaco di Pesaro e presidente di Ali
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