di Francesco Bertolino
Quasi l’80% degli etf e circa il 60% dei fondi attivi lanciati nel 2018 ha chiuso nel 2021, a soli tre anni dall’inizio delle attività. La quota di liquidazioni è in ascesa ormai da tempo, a riprova delle difficoltà incontrate dall’industria del risparmio gestito nell’innovare. D’altra parte, sinora non ce n’è stato bisogno. Secondo l’edizione 2022 del Global Asset Management di Boston Consulting Group, a fine 2021 il patrimonio globale in mano ai gestori ammontava a 112 mila miliardi di dollari, in aumento del 12% rispetto al 2020 e con flussi netti per 4.400 miliardi. I ricavi complessivi del settore hanno toccato i 200 miliardi, con un margine di profitto del 38%. Il settore ha vissuto un decennio di crescita ininterrotta, trainato soprattutto dagli straordinari rialzi delle borse globali (fra 2012 e 2021, per esempio, l’indice S&P 500 è triplicato). Quasi due terzi della raccolta nelle gestioni attive e passive si sono concentrati sui fondi più longevi e quindi in grado di esibire un track record di successo. Alla luce dei risultati formidabili dei prodotti tradizionali, gli investitori hanno avuto poco o nessun incentivo a esplorare le nuove proposte dei gestori, molte delle quali hanno avuto vita breve. Ne è scaturita un’evidente concentrazione degli asset, specialmente nell’ambito delle gestioni passive, dove negli ultimi 5-10 anni il 75% dei flussi netti è stato catturato dai primi 10 attori globali.
L’attaccamento di gestori e risparmiatori alle tradizioni rischia negli attuali rovesci di borsa di rivelarsi una debolezza per gli asset manager. Dietro al velo di un’apparente monotonia, l’industria ha conosciuto nell’ultimo decennio profondi cambiamenti. La lunga e globale tendenza rialzista dei mercati ha reso più difficile per i gestori differenziarsi e spinto i clienti verso prodotti con commissioni più basse. Dal 2003, calcola Bcg, il patrimonio dei fondi passivi è aumentato a un ritmo quattro volte superiore rispetto ai rivali attivi che pure rappresentano tuttora il 67% del mercato. Ne è risultata una riduzione da 50 a 10 miliardi dell’apporto al fatturato dei flussi in ingresso. Viceversa, il 90% dei 110 miliardi di ricavi incrementali ottenuti dai gestori fra 2005 e 2021 è stato frutto del formidabile Toro delle borse. Ora che le performance azionarie sono diventate negative, la pressione della concorrenza e dei fondi passivi sui fatturati rischia di riflettersi sugli utili dei gestori. Per proteggere i margini, perciò, alcuni di loro hanno diversificato negli investimenti alternativi. Pur rappresentando meno del 20% del patrimonio totale, calcola Bcg, nel 2021 questi prodotti sono stati responsabili del 40% dei ricavi dei gestori. Nei prossimi cinque anni il loro contributo dovrebbe superare il 50%, in linea con il crescente interesse per private equity e real estate da parte di investitori – istituzionali ma sempre più anche retail – in cerca di maggiori rendimenti e di protezione dall’inflazione. (riproduzione riservata)
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