di Angelo De Mattia
Nell’affrontare il tema del presunto attacco all’autonomia di Mediobanca – che ormai sembra un ritornello periodico – con la conseguente esagerata chiamata a difesa dell’Istituto, occorre operare delle distinzioni nel complesso delle posizioni che iniziano a manifestarsi al riguardo. Dopo che il gruppo Caltagirone è arrivato a una partecipazione nell’Istituto del 5,5% (dal 3,5% circa), si è guardato nelle cronache all’oltre 19% detenuto dalla Delfin di Leonardo Del Vecchio per ipotizzare, senza fondamento alcuno – almeno per ora – la possibilità che i due gruppi congiuntamente, avvicinandosi alla soglia dell’Opa obbligatoria, possano non essere alieni dall’intento di lanciare, poi, un’Offerta di acquisto della maggioranza assoluta.
Il lavorio di fantasia è fervido. Prima ancora di riflettere, se mai ne valga la pena sull’Opa, occorre fermarsi brevemente a considerare il rapporto impresa-banca, dal lato della prima. Per quelle finanziarie non esistono pregiudiziali che ostruiscano tale rapporto, anche se limiti, vincoli e criteri ne disciplinano l’assunzione e lo svolgimento. Per le imprese non finanziarie era stato a suo tempo introdotto il criterio speciale della separatezza. Erano stati compiuti studi approfonditi, addirittura partendo dalla crisi dell’Ansaldo come trattata da un saggio di Piero Sraffa agli inizi degli anni venti del secolo scorso – un esempio di intrecci tra impresa, banca ed editoria – ed erano state introdotte rigorose, particolari limitazioni. Si ricordavano le considerazioni di Raffaele Mattioli che considerava una sciagura quando il debitore di una banca ne diventava proprietario o comproprietario. Il famosissimo vero banchiere parlava di «mostruosa fratellanza siamese», di «catoblepismo» facendo riferimento a un leggendario quadrupede africano immaginato con la testa rivolta costantemente verso terra. Ma, nella seconda metà del primo decennio del 2000, quasi in coincidenza, casuale o no, con l’acquisizione di Interbanca da parte della General Electric, le limitazioni furono rimosse, utilizzando pure norme comunitarie, e non si parlò più di speciale separatezza. Anche in questo caso, naturalmente, vigono le norme generali sulle partecipazioni bancarie. Molto prima era stata di fatto archiviata la peculiarità del rapporto tra banche ed editoria, nell’uno e nell’altro versante, che era stato un cavallo di battaglia negli anni settanta del secolo scorso e in quelli seguenti. Perché l’approfondimento accennato? Perché si tratta di chiedersi quali saranno i riferimenti, innanzitutto, normativi per le Autorità competenti a esaminare la ricorrenza dei presupposti per le autorizzazioni che eventualmente fossero necessarie. Più in generale, essi si possono riassumere nell’assicurare la stabilità, la sana e prudente gestione della banca, nel possedere i requisiti che valgono anche per gli azionisti, etc.
Fa parte della vigente normativa anche quella sui conglomerati : dunque, con la possibilità, almeno in teoria, che una società acquirente di una partecipazione bancaria rilevante, se non di controllo, che faccia parte di un gruppo societario ed eserciti tutte le attività del partecipante anche con riferimento alla governance, possa comportare che il gruppo stesso, nella sua interezza, ricada sotto il controllo della Vigilanza bancaria unica. E’ una materia da approfondire bene, anche perché possono pur sempre essere individuate soluzioni diverse. Così stando le cose, non si vedono ragioni peculiari per continuare a gridare «al lupo», magari anche immaginando la Mediobanca di un tempo e mai utilizzando le stesse preoccupazioni per altri importanti istituti. Peggio ancora quando si lascia intendere che potrebbero esservi, per ora nascosti, attacchi dall’estero, mentre il caso Generali, di cui Mediobanca è il primo azionista, ha dimostrato che la lista del consiglio di amministrazione si è affermata nella recentissima elezione degli organi societari proprio con l’apporto di fondi esteri e nessuno ha proferito verbo, anzi! Il ricorso eventuale all’Opa va ovviamente autorizzato dalla Vigilanza e, per la parte di competenza, dalla Consob.
Altra cosa è, invece, utilizzare questa vicenda – quale seguito del tormentato caso del voto nelle Generali – per creare eventualmente spaccature nella stessa Consob o far leva, comunque, per inferenze inaccettabili, su diversi modi di valutare questi eventi che fanno parte della dialettica fisiologica di un’istituzione, quos ultra citraque nequit consistere rectum. Un tale atteggiamento sarebbe assai grave e segnalerebbe, questo sì, un attacco, di fatto, all’autonomia di un’ Autorità (altro che Mediobanca) che ha nella presidenza Savona un punto fondamentale per cultura, competenza, capacità, pienamente in grado di corrispondere all’evoluzione delle necessità di controllo e di propulsione insieme con Commissari competenti e impegnati. Attenzione, quindi, a disegni personali che non possono non cedere il posto ai superiori interessi di una Istituzione del rilievo della Consob. Si lascino, allora, lavorare le Autorità, ricordando che, per le partecipazioni in questione, è la Vigilanza unica che rileva in primo piano, anche rispetto alla Consob. (riproduzione riservata)
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