Unicredit Messa in sicurezza la Russia, la banca può concentrarsi sui target del piano a partire dal rilancio della rete commerciale. Ma il rischio di una recessione è elevato Mps? Capitolo chiuso, anche se c’era un progetto concreto su Siena. Parla il ceo Orcel
In una fredda mattina di maggio Andrea Orcel si affaccia dal suo ufficio angolare in Gae Aulenti al ventottesimo piano su una Milano coperta da un’insolita, ormai, coltre nebbiosa: «Quello che temo di più non è l’inflazione né l’aumento dei tassi di interesse, ma la recessione, tutto dipende da quanto sarà profonda, ma arriverà». L’amministratore delegato di Unicredit ha alle spalle una curiosa scrivania con un ammortizzatore che può salire e scendere e permettergli di lavorare anche restando in piedi. Fa un po’ Gordon Gekko, il mitico protagonista di Wall Street, commentano i suoi interlocutori. Lui sorride con la cravatta rossa quasi di ordinanza e dice «è più comodo». Certamente non sarà invece un momento comodo per l’Europa e la sua economia il frangente che stanno vivendo e vivranno famiglie e imprese, strette nel maglio dell’aumento dei prezzi e degli effetti depressivi della guerra russa in Ucraina, che ha costretto molte banche a svalutare le loro partecipazioni, la sua in primis, nel grande paese retto da Vladimir Putin. Gli ingredienti per una nuova crisi globale purtroppo ci sono tutti ma è importante lo spirito con cui si affronteranno le difficoltà. «Questo è un momento in cui bisogna essere conservatori realisti e non conservatori da panico. E io adotto questa filosofia», afferma in una lunga intervista esclusiva a Milano Finanza.
Domanda. Dottor Orcel, nei risultati trimestrali avete deciso di ridurre drasticamente l’esposizione alla Russia. Una scelta prudenziale?
Risposta. Abbiamo ridotto la nostra esposizione verso la Russia di circa due miliardi a un costo minimo per il gruppo. La nostra valutazione del rischio sul Paese si traduce in un impatto potenziale massimo di 5,2 miliardi, pari a 128 punti base di capitale, che nel primo trimestre abbiamo coperto al 70%. Mi preme sottolineare che questo scenario estremo è comunque poco probabile. Se anche dovesse verificarsi, rimarremmo a un Cet1 proforma del 13%, che incorpora sia il primo riacquisto di azioni 2021 da 1,6 miliardi sia l’accantonamento di dividendi 2022 per 400 milioni. La forza del nostro business è tale da consentirci di poter assorbire completamente l’impatto anche dello scenario più estremo grazie al nostro capitale e alla nostra ricostruita capacità di generarlo in maniera organica. Come ceo di questo gruppo, è mio dovere valutare l’impatto della nostra presenza in Russia – ma non voglio in alcun modo che venga messa in ombra l’eccezionale performance realizzata dal nostro business in questo trimestre. Un grande risultato conseguito da persone che sono state responsabilizzate e che hanno dato il massimo per produrre questi risultati, indipendentemente dalle preoccupazioni derivanti da questa guerra. Indubbiamente è stato un trimestre caratterizzato da un dramma geopolitico che ci ha ricordato ciò che è veramente importante nella vita, allo stesso modo è stato un trimestre che ha dimostrato ancora una volta il valore che c’è dentro al nostro business.
D. Sotto il profilo macroeconomico i primi tre mesi dell’anno sono stati molto complessi, con la coda della pandemia e la crisi in Ucraina. Che riflessi state registrando in Italia?
R. Per il momento l’economia italiana appare solida e con un costo del rischio in linea con la Germania. Lo dimostra il fatto che tutte le nostre principali linee di business stanno dando risultati positivi, dai finanziamenti alle famiglie al credito per le imprese. Il quadro internazionale però è serio e già oggi, nel nostro approccio alla clientela, stiamo cercando di individuare i soggetti potenzialmente più esposti a uno choc recessivo per poter offrire soluzioni adeguate alle loro necessità.
D. La recessione insomma le sembra uno scenario concreto?
R. Mi piace pensare che in Unicredit abbiamo un approccio conservativo realistico, non conservativo tendente al panico. In questo momento non ci sono segnali di recessione, ma le nubi si stanno addensando. Il problema sarà capire se davvero la situazione si trasformerà in una recessione e quanto profonda si rivelerà. Di certo siamo di fronte a un sovvertimento totale delle catene del valore che adesso devono essere disaggregate e ripensate. Le imprese per esempio devono rimpiazzare le materie prime ormai troppo care oppure individuare nuovi fornitori. Peraltro se alcuni dei nostri paesi concorrenti nel mondo comprano queste commodities dalla Russia a un prezzo inferiore rispetto a quello pagato da noi, c’è un problema di squilibri competitivi. Un altro tema da monitorare sarà quello dell’immigrazione, il modo in cui noi come Paese gestiremo il flusso dei rifugiati, come li supporteremo e come influiranno sulla nostra società e sulla nostra economia. Senza considerare l’impatto della guerra sulla fiducia di imprese e famiglie che già oggi appaiono certamente meno inclini a investire e a consumare rispetto a qualche mese fa.
D. E poi c’è l’inflazione che in aprile è salita al 6,2%. Un’altra tegola per l’economia italiana?
R. Oggi l’inflazione mi preoccupa un po’ di meno della recessione, anche se va detto che le armi della politica monetaria sono spuntate di fronte alla fiammata dei prezzi a cui stiamo assistendo. Oggi in Europa rialzare troppo i tassi non aiuterebbe certo a risolvere i problemi delle catene del valore, ma potrebbe solo penalizzare l’economia e ostacolare quelle iniziative strutturali di cui l’Europa avrebbe bisogno per uscire dalla crisi. Servirebbe una politica per certi versi espansiva, non restrittiva.
D. I conti trimestrali appena presentati sono caduti a poco più di un anno dal suo insediamento come amministratore delegato di Unicredit. Che bilancio fa del lavoro svolto finora?
R. E’ il quarto trimestre di fila che realizza risultati in crescita. Il primo trimestre 2022 è stato un record, soprattutto per quanto riguarda l’Italia. In passato si pensava che questo mercato fosse troppo rischioso per fare business. Noi non abbiamo abbassato la guardia sui rischi, ma abbiamo scelto di spostare il potere decisionale sui nostri professionisti in prima linea, dare loro chiare regole e fidarci di loro. La risposta arrivata nell’arco dell’ultimo anno è stata eccezionale. L’Italia si è confermata un mercato chiave per Unicredit con un utile netto nel primo trimestre di 593 milioni di euro, in crescita dell’82% trimestre su trimestre. I ricavi netti sono aumentati dell’8,6% anno su anno a 2,3 miliardi di euro, trainati dal forte sviluppo delle commissioni, in crescita del 6,3% anno su anno. Eccellente la qualità della nuova produzione di prestiti, con un costo del rischio relativo al trimestre addirittura negativo, pari a -2 punti base. Le nostre quote di mercato nei prodotti a maggiore valore aggiunto in Italia sono considerevolmente più alte rispetto alla quota di mercato della banca nei prestiti. Siamo infatti intorno al 12% sia nella protezione che nei prestiti personali, sopra il 17% nelle assicurazioni vita e sopra il 40% nelle unit linked, contro una quota di mercato sopra il 10% nei prestiti. Ogni volta che incontro la rete commerciale, avverto un’energia particolare che, per così dire, mi ricarica le batterie. Quando si parla di rete però bisogna sgombrare il campo da alcuni luoghi comuni. Nel mondo del digitale e della multicanalità, l’equazione tra massa critica e network di sportelli non vale più. Basti pensare che in Lombardia Unicredit ha una quota di mercato del 6% sulle filiali, ma del 10% sui prestiti e di oltre il 12% sul credito al consumo. Oggi insomma non importa tanto quanti sportelli hai, ma su quanti clienti davvero produttivi puoi contare e la qualità delle tue persone e strumenti.
D. Cos’è un cliente produttivo?
R. È un cliente che ha una relazione completa con la banca. Per capirci, un cliente che non si limita a depositare i risparmi su un conto, ma che sfrutta un’ampia gamma di servizi che va dal credito al consumo alla bancassurance fino alla gestione del suo patrimonio, che sono poi i segmenti a maggiore valore aggiunto. Segmenti nei quali il nostro piano industriale punta a guadagnare quote di mercato. Senza considerare i servizi per le piccole e medie imprese che richiedono da parte dell’istituto di credito competenze specialistiche e scala. Penso per esempio a tutti i prodotti che offrono coperture su cambi, valute o materie prime e che si sono rivelati particolarmente preziosi per i clienti nell’arco dell’ultimo anno e producono ottimi flussi commissionali per la banca.
D. Insomma un cliente ricco. Ma le banche vanno misurate ancora sul numero di filiali?
R. Ovviamente no, anche perché ci sono profonde differenze comportamentali nella clientela da regione a regione. In Sicilia per esempio la filiale è ancora un punto di contatto prezioso tra i correntisti e i gestori mentre, complice la digitalizzazione, questo genere di legame si è inevitabilmente allentato nel Nord Italia o anche in altri paesi europei, come la Romania. Bisogna insomma ragionare caso per caso.
D. In questo scenario che spazio c’è per l’m&a?
R. Confermo quanto ho sempre detto nell’ultimo anno: le operazioni di m&a devono creare valore ed essere un acceleratore della strategia, non una tappa obbligata. La grande maggioranza del valore che Unicredit può creare è già al nostro interno.
D. Banco Bpm e Montepaschi sono ancora un’opportunità per voi?
R. Oggi le performance del nostro business in Italia ci permettono di essere molto soddisfatti senza dover fare operazioni straordinarie. Ho detto fin dal mio primo giorno in questa azienda che il valore in Unicredit doveva essere trovato internamente, dovevamo solo sbloccarlo – questi risultati ne sono la prova. Quindi non importa se si tratta di Banco Bpm o Mps, l’m&a per noi non è uno scopo in sé. È un acceleratore e un elemento potenzialmente in grado di migliorare i nostri risultati, ma solo a condizione che ci rafforzi nei segmenti per noi chiave, che sia nel migliore interesse dei nostri azionisti e che abbiamo piena fiducia nella nostra capacità di eseguirlo. Per quanto riguarda Mps, per me il capitolo è chiuso e ne siamo sinceramente dispiaciuti perché sia per Unicredit che per il Monte avrebbe potuto essere un’operazione molto positiva se realizzata alle condizioni che si erano convenute. Pensate che avevamo anche cominciato a progettare una Fondazione che sostenesse la città e la comunità senese.
D. Una fusione all’estero?
R. Per adesso no. Non ci sono le condizioni.
D. Ha già deciso cosa fare del risarcimento ricevuto dal Santander dopo la sentenza del tribunale di Madrid del dicembre scorso?
R. Sono contento di quanto è stato confermato in tribunale anche se dispiaciuto che si sia dovuti arrivare a questo. Santander ha ricorso in appello contro la decisione del tribunale. Qualsiasi decisione prima di allora sarebbe inappropriata.
Finita l’intervista Orcel esce di corsa dall’ufficio, la scrivania a stantuffo sullo sfondo. (riproduzione riservata)
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