LETTERA DI 28 MULTINAZIONALI A BRUXELLES: AVANTI CON LO STOP A BENZINA E DIESEL DAL 2035
di Francesco Bertolino
Le strade dei costruttori si dividono sulla proposta di bloccare a partire dal 2035 la vendita di nuove auto diesel e benzina in Ue. Ieri 28 multinazionali hanno chiesto agli eurodeputati e ai governi dei Paesi membri di approvare senza indugio il bando -includendo anche le alimentazioni ibride- e di stabilire obiettivi obbligatori di installazione di infrastrutture di ricarica per i veicoli elettrici puri. L’appello è siglato da aziende come Zurich, Sanofi, Uber, Unilever, Vulcan Energy e Iberdrola, coinvolte a vario titolo nella filiera della nuova mobilità, in qualità di grandi clienti, fornitori di servizi accessori, componenti, materie prime o energia. Fra i firmatari figurano però soltanto due case automobilistiche, le dirette interessate dall’eventuale stop ai motori termici. Ford e Volvo ritengono il bando indispensabile non solo per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050 fissati da Bruxelles e diminuirne la dipendenza energetica da Paesi terzi, ma soprattutto per programmare gli investimenti necessari a rispondere alla crescente domanda di auto elettriche. La casa americana e quella svedese (ma controllata dalla cinese Geely) hanno immatricolato 800 mila vetture in Europa nel 2021, per una quota vicina al 10% del mercato. Entrambe puntano a vendere soltanto veicoli elettrici nella regione già a partire dal 2030. Altri 13 marchi auto si sono impegnati a fare altrettanto, ma nessuno di loro ha ritenuto di firmare l’invito ad approvare il bando ai motori termici. «I legislatori europei devono garantire che i ritardatari non portino a un rinvio di questa svolta di mercato», sottolineano invece i sottoscrittori dell’appello. La misura è del resto da tempo oggetto di critiche e di un’intensa attività di lobby da parte di costruttori e componentisti, volta a rimandarne l’entrata in vigore e/o ad allargarne le maglie per ricomprendere altre alimentazioni a bassa intensità emissiva, in ossequio al principio di neutralità tecnologica. Le associazioni di categoria paventano altrimenti rischi per l’occupazione, l’industria europea e per la stessa democrazia della mobilità. Secondo l’associazione della componentistica europea, nell’industria dell’auto il saldo fra occupazione creata e persa con il piano Fit for 55 sarà negativo di 275 mila unità. Di recente, poi, il ceo di Renault, Luca De Meo, ha stimato che le nuove normative europee sulle emissioni costeranno fra i 50 e i 70 mila posti di lavoro nella sola Francia. Bmw e Mercedes hanno invece sottolineato che il bando a diesel e benzina sarà giustificabile solo allorquando vi saranno infrastrutture di ricarica ed energia pulita sufficienti ad alimentare tutti i veicoli elettrici. Da sempre scettico sulla transizione imposta dall’alto, infine, il ceo di Stellantis, Carlos Tavares, ha previsto a breve una grave crisi di approvvigionamento di batterie che potrebbe incrementare la dipendenza dell’industria dell’auto europea dai fornitori asiatici. Il manager ha inoltre più volte rimarcato che i costi delle vetture elettriche rimarranno elevati ancora a lungo, tagliando il ceto medio fuori dalla nuova mobilità. Un pericolo veipiù attuale dopo che la guerra in Ucraina ha portato le materie prime a toccare prezzi senza precedenti.
Parlamento Ue e governi nazionali saranno presto chiamati a dirimere questo autoscontro, scegliendo quale via imboccare: l’intransigente del 100% elettrico nel 2035 richiesta dall’appello o quella graduale auspicata dalle associazioni industriali. Le posizioni dovrebbero delle autorità definirsi nel mese di giugno, dando il via a un iter negoziale che potrebbe concludersi in autunno. (riproduzione riservata)
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