di Guido Scorza*
Faranno prima le auto a trasformarsi in smartphone o gli smartphone a trasformarsi in auto?
È una domanda che dobbiamo porci e la cui risposta è destinata ad avere uno straordinario impatto sulle nostre vite, i comparti industriali di riferimento, l’economia globale e, in buona misura, la democrazia. E si tratta di una questione ormai divenuta ineludibile.
La suggerisce, solo per stare agli avvenimenti delle ultime settimane, da una parte la nascita di Mobile Drive, la joint-venture alla quale hanno dato vita il gigante dell’industria automobilistica Stellantis e il colosso dell’elettronica di consumo coreana Foxconn e dall’altra la sanzione stellare – almeno per i numeri di casa nostra – irrogata nei giorni scorsi a Google dall’Autorità Antitrust per aver tenuto fuori dalla piattaforma Android e, quindi, da tutti gli smartphone che nascondono sotto il cofano – tanto per restare in tema – il sistema operativo di casa Google.
Ma, in realtà, i segnali della ineludibilità della questione sono tanti e diversificati ormai da anni.
Basti pensare al successo planetario di Car Play, l’interfaccia per auto di casa Apple, ormai disponibile su oltre seicento modelli di automobili che vanno dalla Kia alla Ferrari, passando per la Fca, l’Alfa Romeo, la Ford, la Bentley, la Cadillac e chi più ne ha più ne metta dall’Arabia Saudita agli Stati Uniti, in Europa come in Cina e in Corea.
E con Car Play, di fatto, il nostro smartphone si impossessa, già oggi, dell’elettronica di bordo della nostra auto e Siri, la celeberrima assistente vocale del nostro iPhone, assume i comandi di tutto o quasi quello che accade a bordo, dall’intrattenimento alla navigazione, passando per la comunicazione, l’informazione e il meteo o la prenotazione di hotel e ristoranti di fatto estromettendo e rendendo persino difficile da usare il computer di bordo con il quale l’automobile è uscita dalla fabbrica.
Ma conduce alla stessa conclusione anche il successo che, nel tempo che passiamo in auto, hanno app di intrattenimento come Spotify, Amazon Music o ItunesMusic o alcune delle più popolari app di navigazione come Mappe di Apple, Maps di Google o Waze.
Se vi perdete in auto chiedete aiuto a Google Maps o al navigatore della vostra automobile sempre ammesso che non sia già integrato proprio con Google Maps? E chi vi risolve più spesso il problema? Sono domande retoriche perché la risposta è scontata. Google ha più dati, più informazioni, algoritmi più allenati.
E guai a dimenticarsi che, ormai, tanto Siri di Apple quanto Hey Google ma anche Alexa di Amazon sono divenuti passeggeri che nessuno di noi, alla guida, si sognerebbe di far scendere dall’auto.
Insomma, per una ragione o per l’altra, il rapporto tra smartphone e automobile è simbiotico ma, al punto in cui siamo, si tratta, inesorabilmente, di decidere chi tra i due, lo comanderà.
I numeri, quelli del fatturato dei rispettivi comparti industriali, dei pezzi venduti ogni anno nel mondo, del tempo di utilizzo da parte degli utenti, naturalmente, suggeriscono che, alla fine, la meglio debbano averla gli smartphone e, con essi, la relativa industria.
Siamo più fedeli al nostro smartphone che alla nostra automobile e sarà più difficile convincerci a fare a meno delle nostre app preferite, dei nostri dati, delle nostre interfacce alle quali il nostro smartphone ci ha abituati quando saliamo in auto che del computer di bordo della nostra automobile per quanto possa essere intelligente, smart e usabile.
Ma, soprattutto, e – come in molti altri ambiti questo rischia di essere l’ago della bilancia – i nostri smartphone e, naturalmente, attraverso di loro i produttori dei sistemi operativi che danno loro vita ci conoscono straordinariamente meglio delle nostre automobili, gestiscono una quantità di dati personali inarrivabile per un costruttore di automobili – almeno senza passare per una partnership con i grandi oligopolisti dei dati – e, soprattutto, raccolgono dati personali straordinariamente preziosi ogni volta che saliamo in auto.
E, al punto in cui siamo, non serve più spiegare che chi ha più dati su di noi è già oggi – e sarà ancora di più domani quando saremo entrati nel vivo dell’era dell’Intelligenza artificiale e dei Big data – più forte sul mercato.
Difficile immaginare che l’assistente vocale di un costruttore di automobile, per quanto intelligente, sappia intercettare i nostri desideri mentre siamo alla guida più e meglio di quanto non sappia – e non saprà fare domani – quella del nostro smartphone dotato di applicazioni sempre nuove e aggiornate secondo le esigenze stesse e insindacabili del suo utilizzatore.
La seconda sa cosa ci piace mangiare, quando ci piace magiare, cosa vestiamo, dove amiamo andare in vacanza, raccoglie i nostri desideri in termini di intrattenimento praticamente per l’intera giornata, ci guida nelle piattaforme di e-commerce mentre la prima, nel migliore dei casi, lo fa in una percentuale di tempo che rappresenta una frazione, per quanto importante, modesta della nostra giornata.
Ovviamente nulla esclude che nel mercato globale dei dati, in quello nel quale le nostre identità e profili digitali vengono scambiati migliaia di volte al secondo, i costruttori di automobili riescano a accaparrarsi informazioni sufficienti a far sì che i loro computer di bordo si conquistino la nostra fiducia ma, per la verità, appare almeno improbabile che ci riescano in condizioni economiche di efficienza.
Insomma, ammesso anche che sia tecnicamente e commercialmente possibile – e, forse, lo sarebbe – difficile credere che a un costruttore di automobili converrebbe questo anziché aprire il suo cruscotto all’ingresso di uno dei sistemi operativi di riferimento nell’universo degli smartphone come, peraltro, in parte sta accadendo.
Ma, per questa via, lo smartphone rischia di diventare un novello cavallo di Troia elettronico che consentirà, nello spazio di qualche anno, ai giganti dell’industria dell’elettronica globale di occupare l’industria automobilistica. (riproduzione riservata)
*componente del Collegio del Garante per la privacy
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