Proprio quando si è acceso lo scontro sulla nuova governance di Trieste, con Caltagirone in polemica con Mediobanca e con la gestione del Leone, il ceo della compagnia ha calato due assi: cittadinanza italiana e trimestrale da record
di Anna Messia
Il group ceo di Generali, il francese Philippe Donnet, nei giorni scorsi ha ottenuto la cittadinanza italiana. Sarà pure una coincidenza, ma si tratta di una coincidenza decisamente fortunata, arrivata in uno dei momenti più caldi nella storia di Trieste. È stato «il coronamento di moltissimi anni di vita e di lavoro in questo Paese», ha scritto il 16 maggio Donnet in un’insolita lettera pubblicata sul Corriere della Sera dove dava notizia di aver ricevuto il riconoscimento da Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia.
Era il 2000 quando Donnet venne per la prima volta a lavorare stabilmente in Italia, nominato amministratore delegato di Axa nel Paese. Da buon corso, il top manager ha mantenuto un legame forte con l’Italia nonostante gli altri incarichi ricoperti in giro per il mondo (tra cui Tokyo e Singapore). Nel 2013 il ritorno nella Penisola come numero uno di Generali Italia per poi, con l’uscita di Mario Greco, salire al timone del gruppo. Tanti anni di vita in Italia, quindi. Già dal 2016 Donnet aveva scelto Venezia come residenza, avviando le pratiche per ottenere la cittadinanza italiana a metà 2019. Ma la fatalità ha voluto che il riconoscimento sia arrivato proprio quando il primo socio privato di Generali, ossia Francesco Gaetano Caltagirone (azionista con il 5,63%), in vista del rinnovo del cda delle Generali (in agenda per aprile 2022) ha iniziato a muovere le sue pedine con l’obiettivo di controbilanciare il potere di Mediobanca sul Leone, di cui detiene il 12,93%. L’imprenditore romano ha fatto sentire la propria voce frenando su operazioni di crescita all’estero di Generali (come l’acquisto delle attività di Axa in Malesia) e ha fatto pesare la sua assenza nell’assemblea che lo scorso aprile ha votato il bilancio 2020, oltre ad aver inviato una lettera a tutti i consiglieri per invitarli a valutare la possibilità di prevedere la figura di un direttore generale, di costituire un comitato esecutivo e di rafforzare i poteri del presidente. Un assetto che depotenzierebbe l’amministratore delegato. Donnet si è trovato così al centro della contesa e ora per tentare di uscirne potrà giocarsi una carta in più, quella della cittadinanza italiana, di fronte a chi lo ha più volte considerato espressione di un’ingerenza francese nella compagnia triestina. Un riconoscimento che oggi è più importante che mai, considerando che Generali, come prima assicurazione italiana, avrà un ruolo decisivo nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che dovrà far ripartire l’Italia dopo la pandemia. Il Leone potrà infatti fare molto affiancando gli investimenti del Pnrr in una collaborazione pubblico-privata. È stato così per esempio con il piano Fenice 190, da 3,5 miliardi, lanciato dalla compagnia a febbraio scorso per sostenere il rilancio delle economie europee colpite dal Covid–19, a cominciare dall’Italia, passando per la Francia e Germania e proseguendo, durante i prossimi 5 anni, in tutti i Paesi continentali in cui il gruppo e` presente. Un primo assaggio di un intervento che potrebbe essere ben più incisivo, considerando che Generali detiene 660 degli 11 mila miliardi gestiti dalle assicurazioni europee. Una potenza di fuoco per sostenere lo sviluppo delle infrastrutture, la digitalizzazione o gli investimenti sostenibili dell’Italia. Quasi una Cassa Depositi e Prestiti privata. E Donnet è evidentemente pronto a guidare il nuovo corso, tanto da aver aperto i cantieri del nuovo piano triennale, che sarà presentato a fine anno o al più tardo a inizio 2022.
Nei giorni scorsi il top manager transalpino ha giocato anche un’altra carta, presentando un bilancio del primo trimestre 2021 decisamente superiore alle previsioni, con un utile netto di 802 milioni rispetto ai 705 milioni attesi dagli analisti, mentre i profitti operativi si sono attestati a 1,608 miliardi, in rialzo dell’11% e ben oltre gli 1,479 miliardi indicati dal consensus di mercato.
Ma il tema della governance resta in primo piano sul tavolo di Trieste e coinvolge anche gli altri soci privati. A partire da Leonardo Del Vecchio, che di Generali detiene il 4,82% e che soprattutto è salito al 15,4% di Mediobanca (dopo aver rilevato nei giorni scorsi il 2% di Fininvest). Più volte in passato il fondatore di Luxottica ha chiesto un’accelerazione nella crescita della compagnia per recuperare il gap esistente tra la capitalizzazione del Leone (27,5 miliardi di euro) rispetto a quella degli altri colossi assicurativi europei, come i francesi di Axa (54 miliardi) o i tedeschi di Allianz (89 miliardi) che in questi ultimi anni hanno spinto con decisione sulle acquisizioni (si veda MF-Milano Finanza del 1° maggio scorso). L’interesse di Del Vecchio e Caltagirone (che di Mediobanca detiene l’1% del capitale) potrebbe quindi convergere. Gli occhi restano puntati sul comitato governance, dove un posto è occupato dall’imprenditore romano. (riproduzione riservata)
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