Il nuovo numero del periodico statistico Dati Inail analizza le denunce di infortunio del settore dell’Industria alimentare nel quarto trimestre 2020 e segnala anche il forte ridimensionamento delle infezioni di origine professionale denunciate nei primi tre mesi di quest’anno
Un terzo delle denunce concentrato in novembre.
Dopo il picco rilevato nell’aprile 2020, con poco più del 7% dei contagi sul lavoro da Covid-19 denunciati all’Inail, l’industria alimentare ha toccato il 12% dei casi nel mese di agosto, in corrispondenza di alcuni focolai che hanno interessato, in particolare, la trasformazione delle carni. Diversi studi internazionali, infatti, hanno dimostrato che le condizioni legate a questo tipo di lavorazioni, in particolare la fase di macellazione e sezionamento, hanno favorito l’insorgenza di focolai in impianti di grandi dimensioni. Ad avere l’impatto maggiore è stata però la seconda ondata delle infezioni, che ha raggiunto il suo apice in novembre, nel quale si è concentrato un terzo di tutte le denunce del settore. Circa il 60% dei casi ricade nel trimestre ottobre-dicembre 2020, mentre i primi tre mesi di quest’anno si sono caratterizzati per un forte ridimensionamento del fenomeno.
Poco più della metà dei contagiati sono donne.
Considerando le varie tipologie di lavorazione, dall’analisi della Consulenza statistico attuariale emerge che poco meno del 60% dei contagi professionali riguardano l’industria lattiero-casearia, seguita dal’industria della lavorazione delle carni (22%), dalla lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi (11%) e dai prodotti da forno (7%). La componente femminile conta il 53,1% delle denunce del comparto, percentuale inferiore rispetto a quanto osservato sul totale delle infezioni di origine professionale (69,3%). L’età media dei contagiati è di 47 anni e la classe di età più colpita è quella compresa tra i 50 e i 64 anni, con il 45,7% dei casi, seguita dalle fasce 35-49 anni (40,8%), under 35 (12,6%) e over 64 (sotto l’1%). Le categorie più colpite sono quelle degli artigiani e operai specializzati delle lavorazioni alimentari e, in particolare, i macellatori, con poco meno di 200 denunce da inizio pandemia.
Nel 2020 gli infortuni sul lavoro in calo del 14% rispetto al -27% del manifatturiero.
Allargando l’osservazione all’insieme degli infortuni sul lavoro, nel quinquennio 2015-2019 l’andamento delle denunce è stato moderatamente crescente fino al 2019, quando si è registrato un calo del 2% rispetto all’anno precedente. I primi dati provvisori del 2020, segnato dalla pandemia, indicano una consistente flessione (-14%), con i casi denunciati che si fermano a circa novemila. Si tratta, però, di una flessione molto meno marcata, in termini percentuali, rispetto a tutti gli altri settori del comparto manifatturiero (-27%) che, a differenza dell’industria alimentare, hanno sofferto per le politiche di lockdown. Nel quinquennio per cui sono disponibili informazioni consolidate, in media il 15% delle denunce ha riguardato infortuni “in itinere”, avvenuti cioè nel tragitto di andata e ritorno tra la casa e il luogo di lavoro, il 31% lavoratrici e il 40% la fascia di età 35-49 anni, seguita dagli under 35 (30%), dai 50-64enni (29%) e dagli over 64 (1%). Dal punto di vista territoriale il maggior numero di denunce (42%) è concentrato nel Nord-Est, seguito da Nord-Ovest (29%), Sud (13%), Centro (12%) e Isole (4%).
Nel quinquennio 2015-2019 i casi mortali sono stati 108.
I casi mortali denunciati nell’intero quinquennio 2015-2019 nell’industria alimentare sono stati 108, in media 21-22 l’anno. Il dato ancora provvisorio del 2020 supera invece i 30 decessi, un aumento interamente ascrivibile alla letalità della pandemia da Covid-19. Negli anni precedenti circa un terzo delle morti denunciate è avvenuto in itinere e nel 90% dei casi ha riguardato uomini, con la fascia di età 50-64 più coinvolta (38%) rispetto a quelle 35-49 anni (31%) e under 35 (27%). Limitando l’analisi ai soli casi mortali occorsi “in occasione di lavoro”, quattro denunce su dieci hanno interessato lavoratori impegnati nella produzione di prodotti da forno e farinacei, con numeri significativi, anche se molto più bassi, nella lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi, in quella della carne e nell’industria lattiero-casearia.
Anche il decremento delle malattie professionali è condizionato dalla pandemia.
A minare la salute dei lavoratori si aggiungono poi le malattie professionali. Quelle denunciate nel 2019 sono state 1.472, in aumento del 4% rispetto al 2018, che aveva fatto registrare un incremento analogo rispetto al 2017. Il dato provvisorio del 2020 si ferma invece a un migliaio di casi, una brusca frenata che trova ancora una volta una spiegazione nella pandemia da Covid-19 e nei conseguenti blocchi emergenziali che nel caso delle malattie professionali, caratterizzate da una latenza temporale anche di diversi anni, più che contenere il rischio per la riduzione dell’attività sul luogo di lavoro, hanno agito da deterrente per il ricorso ai presidi medici e agli sportelli di assistenza e tutela dei lavoratori, propedeutici alla gestione delle pratiche.
Il focus sui prodotti fitosanitari.
Il nuovo numero del periodico statistico dell’Istituto dedica anche un approfondimento alla corposa legislazione europea che disciplina l’intero ciclo di vita, dall’immissione sul mercato alla definizione dei residui negli alimenti, dei prodotti fitosanitari, pesticidi utilizzati principalmente per mantenere in buona salute le colture e proteggerle da malattie e infestazioni. Nel rapporto più recente dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), relativo ai controlli condotti dagli Stati membri sui residui di pesticidi negli alimenti commercializzati nel mercato comunitario, si legge che nel 2019 sono stati analizzati 96.302 campioni, il 96,1% dei quali è risultato nei limiti di legge. Un sottoinsieme di 12.579 campioni, analizzato in base a un programma di controllo coordinato dall’Unione europea, è risultato nei limiti di legge per il 98%, a ulteriore conferma di un livello di tutela della salute dei consumatori complessivamente molto elevato.