Pagina a cura di Stefano Loconte e Giulia Maria Mentasti
Indipendenza logico-giuridica del piano assicurativo da quello giudiziario: il contagio da covid-19 sul luogo di lavoro fa scattare la tutela infortunistica da parte dell’Inail, ma non si traduce automaticamente in una responsabilità per il datore di lavoro, né civile né penale. È quanto chiarito dalla circolare Inail n. 22 del 20 maggio scorso (si veda ItaliaOggi del 21 maggio), precisando che il riconoscimento di un caso di infezione da Covid-19 come infortunio per il quale interviene la tutela Inail non determinerà alcun presupposto per individuare una responsabilità civile o penale dell’imprenditore. Peraltro si rassicura anche sull’esclusione di qualsiasi incidenza degli infortuni da coronavirus sulla misura del premio pagato dal singolo datore di lavoro.
L’origine dei timori. Le preoccupazioni dei datori di lavoro sono cominciate quando l’art. 42, comma 2 del decreto legge CuraItalia ha esplicitato che l’infezione da coronavirus, se contratta in occasione di lavoro, è tutelata dall’Inail, perché va qualificata quale infortunio sul lavoro.
Da qui il timore di vedersi attribuita una responsabilità non solo civile, ma anche penale, o comunque di dover affrontare un procedimento, conservando lo status di indagato per tutto il tempo, spesso non celere, delle indagini preliminari.
L’Inail, pertanto, con la circolare dei giorni scorsi ha provato a rassicurare le imprese, fornendo diversi chiarimenti.
L’infortunio da patologie infettive. La circolare precisa che tutte le patologie infettive (vale per il Covid-19, così come, per esempio, per l’epatite, la brucellosi, l’Aids e il tetano) contratte in occasione di lavoro sono da sempre inquadrate e trattate come infortunio sul lavoro poiché la causa virulenta viene equiparata alla causa violenta propria dell’infortunio, anche quando i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo.
Non possono, però, confondersi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail (basti pensare a un infortunio in «occasione di lavoro» che è indennizzato anche se avvenuto per caso fortuito o per colpa esclusiva del lavoratore) con quelli per la responsabilità penale e civile, che devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative.
La tutela assicurativa. Presupposto comune è solo che il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro, verifica che, seppur su base presuntiva, impone comunque l’accertamento rigoroso dei fatti e delle circostanze da cui desumere il momento dell’infezione (le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, le indagini circa i tempi di comparsa delle infezioni, ecc.).
In tale contesto, l’Istituto valuta tutti gli elementi acquisiti d’ufficio, quelli forniti dal lavoratore, nonché quelli prodotti dal datore di lavoro in sede di invio della denuncia d’infortunio.
Il riconoscimento dell’origine professionale del contagio si fonda, in conclusione, su un giudizio di ragionevole probabilità, ed è totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa del contagio.
Nessuna responsabilità oggettiva. Pertanto al suddetto presupposto, sufficiente per l’erogazione di un indennizzo Inail, per addivenire all’accertamento di responsabilità penale e civile se ne devono rigorosamente sommare altri.
Infatti, rassicura la circolare, l’articolo 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore.
Viene dunque in rilevo la recente pronuncia della Cassazione, la n. 3282 del 2020, secondo cui non può desumersi dall’indicata disposizione un obbligo assoluto in capo al datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta ad evitare qualsiasi danno al fine di garantire così un ambiente di lavoro a «rischio zero», quando di per sé il pericolo di una lavorazione o di un’attrezzatura non sia eliminabile, neanche potendosi ragionevolmente pretendere l’adozione di strumenti atti a fronteggiare qualsiasi evenienza che sia fonte di pericolo per l’integrità psico-fisica del lavoratore; ciò in quanto, ove applicabile, avrebbe come conseguenza l’ascrivibilità al datore di lavoro di qualunque evento lesivo, pur se imprevedibile e inevitabile.
L’accertamento in sede penale. In definitiva, in sede penale, si dovrà accertare non solo che il contagio sia avvenuto in occasione del lavoro, ma anche, in primo luogo, la violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui dl 16 maggio 2020, n. 33; trasgressione da cui deriverebbe, alla luce della prevedibilità della contrazione del virus e dell’esigibilità del rispetto dell’obbligo cautelare da parte del datore di lavoro, la colpa dello stesso.
Inoltre, si dovrà raggiungere la prova del nesso causale tra la violazione del datore di lavoro e il contagio verificatosi, con la precisazione che esso «non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica» (Cass. Sez. U, n. 30328 del 2002).
Ulteriori rassicurazioni. Infine, nella circolare si sottolinea come sia stato stato espressamente previsto che gli oneri degli eventi infortunistici del contagio non incidono sull’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico, ma sono posti carico della gestione assicurativa nel suo complesso, a tariffa immutata, e quindi non comportano maggiori oneri per le imprese.
In altri termini, la scelta operata con il citato articolo 42 è stata quella dell’esclusione totale di qualsiasi incidenza degli infortuni da Covid-19 in occasione di lavoro sulla misura del premio pagato dal singolo datore di lavoro, ciò in quanto tali eventi sono stati a priori ritenuti frutto di fattori di rischio non direttamente e pienamente controllabili dal datore di lavoro al pari degli infortuni in itinere. In tali ultime fattispecie, infatti, l’Istituto riconosce la tutela assicurativa al lavoratore infortunato nel tragitto casa-lavoro e viceversa, ma al datore di lavoro non viene imputata alcuna conseguenza per l’evento infortunistico.
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