MERCATO
Autore: Alberto Scardino
ASSINEWS 320 – giugno 2020
Seconda parte
Tornando sul tema degli effetti del coronavirus in ambito assicurativo, non si può omettere di considerare le conseguenze prodotte dal divieto degli spostamenti imposti, in misura rigorosa fino al 4 maggio, ai cittadini e così quelle derivanti dal blocco delle attività lavorative.
Relativamente al divieto di spostamenti, va segnalato come esso abbia determinato situazioni veramente paradossali, come denunciato lo scorso aprile dal presidente di COPAGRI Puglia Tommaso Battista, lamentando che vi erano state “diverse segnalazioni da parte di nostri associati, ad esempio dal comune di Grumo, i quali lamentavano di essere stati fermati dai carabinieri, che hanno loro contestato le violazioni previste dal dpcm attualmente in vigore”; eguale situazione ha sottolineato Confagricoltura Campania, evidenziando le ripetute ammende comminate a lavoratori agricoli che utilizzano trasporti collettivi (e per “trasporti collettivi” si intende anche l’uso della propria autovettura col trasporto di altri occupanti! n.d.r.) per andare a lavorare e che, pur a fronte di un via libera a livello regionale di questa pratica, “le aziende stanno subendo notevoli disagi legati al fatto che troppo spesso le Forze dell’ordine impegnate nella vigilanza del territorio ignorano questi importanti chiarimenti (il via libera della regione; n.d.r.), comminando sanzioni ai lavoratori, aumentando così lo stato di difficoltà delle imprese”.
Non è quindi difficile immaginare che ciò potrebbe anche comportare una notevole lievitazione dei costi dei prodotti agricoli, che, tra l’altro, è già in atto, con pesanti ripercussioni a carico dei consumatori già duramente provati dall’emergenza dovuta alla pandemia. Relativamente al blocco delle attività lavorative va segnalato che l’art. 91 del decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 ha pure previsto la modifica ed integrazione dell’art. 3 del precedente decreto legge n. 6 del 23 Febbraio 2020 – convertito con modificazioni dalla legge n. 13 del 5 marzo 2020 – inserendovi il comma 6°-bis, per il quale il rispetto delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 deve essere considerato (evidentemente dal giudice, nel caso di mancata intesa tra le parti) al fine del riconoscimento di penali o decadenze connesse al ritardo o ad eventuale inadempimento.
Il fondamento di questa norma, seppur non estremamente chiara e delimitabile nei suoi aspetti, va imputato al fatto che – provocando il blocco delle attività la impossibilità di svolgere le stesse e così la impossibilità di fruire dei ricavi da esse derivanti – le imprese potrebbero non essere in condizione di sostenere i costi fissi che continuano a persistere e così di onorare eventuali impegni economici assunti in previsione di entrate non conseguite; per non parlare degli impegni assunti come produzione e consegna di materiali e ultimazione dei lavori nei termini contrattualmente stabiliti.
Questa situazione – aggravata dal fatto che le mirabolanti misure economiche fin qui promesse dal Governo si sono rivelate essere, per la maggior parte, prestiti non sempre facilmente ottenibili e che ancora a maggio circa un milione e cinquecentomila lavoratori sono in attesa del “bonus” di 600 euro di marzo – fa temere che una parte non indifferente delle imprese sottoposte al blocco possa trovarsi nell’assoluta impossibilità di riprendere l’attività, ancor più in presenza di ulteriori e onerose norme che impongono maggiori spese per la “sanificazione” degli ambienti e la prevenzione dell’epidemia, come – tra l’altro – l’obbligo di svolgere il proprio lavoro non a pieno ritmo, a causa del “distanziamento sociale”, della contenuta presenza di clienti e avventori nei propri esercizi commerciali, ecc., con conseguente aumento della già pesante disoccupazione.
La Confcommercio, dal canto suo, pensa che nel 2020 ci sarà un crollo dei consumi nella misura di 84 miliardi, pari all’8% in meno sul 2019, a causa degli effetti del “lockdown”, considerando un calo del 48,5% per i servizi alberghieri e del 33,3% per bar e servizi di ristorazione. Secondo un autorevole quotidiano economico, sarebbero a rischio transazioni commerciali tra le imprese per 250 miliardi di euro e una società assicuratrice, specialista nei rami credito e cauzioni, ritiene che nel corrente anno le insolvenze aziendali possano aumentare in Italia del 23%, con un rischio di default per oltre 14.000 imprese.
Di ciò si è reso conto il mondo assicurativo, quando, dopo il lancio di una polizza Coronavirus “No stop”, che avrebbe dovuto garantire il pagamento di un indennizzo per il caso di chiusura dell’attività commerciale garantita, si è proceduto al suo quasi immediato ritiro. Per converso, alcune compagnie – riporta l’IVASS – hanno esteso, gratuitamente e in via temporanea, garanzie e servizi presenti nelle loro polizze sanitarie onde poter riconoscere agli assicurati, colpiti dal virus, diarie giornaliere in caso di quarantena domiciliare e indennizzi in caso di ricovero in terapia intensiva; nel settore viaggi, alcune società hanno ampliato le garanzie per il rimborso di costi e penali per la perdita di eventuali spostamenti programmati in precedenza; altre hanno anche offerto agli assicurati la possibilità di fruire di un teleconsulto medico – per lo più gratuito, se non già presente nella copertura “assistenza” – e uno sportello di consulenza legale.
L’ANIA, da parte sua, ha annunciato la creazione di “un’unità di coordinamento in stretta collaborazione con l’IVASS e le proprie associate, al fine di monitorare la situazione e di predisporre le misure idonee a garantire i servizi assicurativi”, stanziando lo scorso 20 marzo – in accordo con la Protezione Civile – un fondo da due milioni di euro per il reperimento di “beni e servizi utili a contrastare la diffusione della malattia”.
Gli infortuni sul lavoro denunciati all’INAIL, al netto dei contagi da coronavirus, sono calati da 157.576 del primo trimestre del 2019 agli attuali 130.905, con una contrazione di circa 27 mila casi pari al -16,9% del totale; nel solo mese di marzo la diminuzione del numero degli infortuni sul lavoro è stata addirittura di oltre 22.000 unità, con un calo su base mensile del 43,6%, riconducibile al blocco quasi totale di gran parte delle attività lavorative ed è facile presumere che tali dati possano riproporsi anche per il successivo mese di aprile.
Tornando alle conseguenze economiche del fermo delle attività, è evidente che -basandosi qualsiasi attività imprenditoriale sulla possibilità di adempiere alle proprie obbligazioni in forza dei profitti rinvenienti dall’espletamento delle stesse – se ad esse ciò fosse imposto da una disposizione di legge, ecco che si profilerebbe la possibilità di invocare la fattispecie della forza maggiore o, secondo i latini, “vis cui resisti non potest”, anche se tradizionalmente essa si intende legata alle inarrestabili forze della natura come terremoto, maremoto, eruzione vulcanica, uragano ecc., in parte previste dall’art. 1912 del codice civile come esimenti della responsabilità contrattuale dell’assicuratore verso gli assicurati.
Il primo comma dell’articolo 91 del richiamato decreto “cura Italia” così testualmente dispone:
“1. All’articolo 3 del decreto – legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: “6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
In pratica, le misure adottate dal Governo con le varie norme finalizzate al contenimento della pandemia assumono, per espressa previsione di legge, valenza di causa esimente – da valutare di volta in volta – atta a giustificare in parte o del tutto ogni responsabilità in capo al debitore per il suo ritardato o mancato adempimento, consentendogli così di sottrarsi alle conseguenze di cui agli articoli 1218 e 1223 del codice civile.
L’articolo 1218 del codice civile stabilisce:
“Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile” e certamente il blocco dell’attività non può imputarsi a sua volontà, essendo conseguente a una chiara e inderogabile disposizione di legge e come tale non addebitabile alla parte che lo invocasse.
Ciò potrebbe, ad esempio, consentire (forse anche legittimamente, in questa particolare situazione) al locatario, colpito dal blocco totale della propria attività imprenditoriale o commerciale, di invocare come stato di necessità il cosiddetto factum principis – rappresentato dai DPCM 11 marzo 2020 e 22 marzo 2020 – e pertanto sospendere il pagamento del canone di fitto o chiederne la riduzione, senza per ciò essere ritenuto responsabile di inadempienza contrattuale; questi potrebbe pure invocare l’impossibilità forzosa di fare uso proficuo dell’immobile locato, come previsto dall’art. 1256 del codice civile, così come l’appaltatore potrebbe anche egli appellarsi alla stessa norma per giustificare il ritardo nel completamento dei lavori ed anche il produttore per giustificare la mancata consegna delle merci compravendute, nei termini stabiliti, ecc..
L’articolo 1256 del codice civile, infatti, dispone: “L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.
Trattandosi di principi generali, essi sono applicabili anche agli appalti pubblici, con la conseguenza che le stazioni appaltanti si vedono precludere la possibilità di risolvere il contratto ex art. 108 del decreto legislativo n. 50 del 2016 (“Codice degli appalti”) o di applicare penali agli appaltatori per eventuali ritardi causati dal rispetto delle misure statuite per il contenimento dell’epidemia. Va poi considerato che il concetto di forza maggiore, neppure regolamentato in termini precisi dal legislatore, non ha una disciplina univoca nel diritto internazionale, dove si fa riferimento all’art. 79 della convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili del 1980, che trova applicazione a certe condizioni e all’eventualità che il contratto preveda la clausola specifica “ICC Force Majeure Clause 2003”, che non sempre è presente nelle transazioni commerciali; la Germania, infatti, ha diffidato le ditte italiane fornitrici dei lavorati a riprendere immediatamente le forniture, indispensabili per la prosecuzione delle attività industriali tedesche, che altrimenti resterebbero a loro volta bloccate da questa inadempienza.
Non vi è chi non veda le conseguenze che ciò potrebbe causare sia al contesto economico della Nazione (a cascata, anche il proprietario dell’immobile locato, che avesse investito i suoi risparmi per garantirsi un’integrazione del reddito di lavoro o di pensione – facilmente compromesso dal presente blocco delle attività economiche – potrebbe anche egli trovarsi impossibilitato ad onorare i propri impegni economici per il mancato pagamento del canone locativo) o nell’ambito di alcune garanzie assicurative.
È infatti chiaro che il fermo pressoché totale delle attività economiche e quello attuale, parzialmente in atto, potranno avere conseguenze rilevanti nel settore assicurativo sui sinistri fideiussioni, credito, perdite patrimoniali da annullamento di eventi e a interruzione di attività.
Il country manager di una nota compagnia assicuratrice specialista nel ramo cauzioni e credito ha recentemente dichiarato nel suo rapporto “Accelera la crescita delle insolvenze nel 2020” che: “In questo particolare contesto di fragilità dei mercati, in piena emergenza coronavirus e relative misure di contenimento il rischio di credito commerciale si intensifica e si inasprisce, verso il quale occorre sempre avere un approccio di gestione strategico, soprattutto ma non solo in momenti di crisi come quello che stiamo attraversando”.
Per quanto attiene le attività relative a lavori in appalto, è evidente che questo blocco – che ha certo influenza anche sulla produzione e fornitura del materiale utile per l’espletamento degli stessi lavori – potrebbe a sua volta comportare la necessità sia di protrarre nel tempo l’ultimazione dei lavori appaltati e sia di prevedere la possibilità di revisione dei prezzi convenuti, essendo essi stati fissati prima dell’epidemia; a ciò va aggiunto che, alla ripresa delle attività lavorative, ci sarà una grande richiesta di merci, che non potrà essere tempestivamente soddisfatta per la mancanza di giacenze, con conseguente lievitazione dei prezzi.
Al riguardo va precisato che la revisione dei prezzi è soggetta a precisi limiti fissati dall’art. 106 del decreto legislativo n. 50 del 2016 (“codice degli appalti”) e può essere riconosciuta da parte della stazione appaltante soltanto qualora essa sia stata espressamente prevista nel bando di gara. Ove tale eventualità non fosse contrattualmente stabilita, la stazione appaltante si troverà in difficoltà, essendo ad essa inibita la possibilità di invocare l’inadempimento dell’appaltatore, che ha dovuto rispettare le norme sul blocco delle attività, come previste dalla normativa sul Covid-19 e che da parte sua neppure non potrà fare affidamento sull’eventuale revisione dei prezzi.
Ed è per ciò che il MISE, con provvedimento datato 26 marzo 2020, ha comunicato di aver dato incarico alle Camere di Commercio di provvedere al rilascio, alle aziende con rapporti commerciali con l’estero, di dichiarazioni in inglese che certifichino i provvedimenti emanati dal Governo e in particolare il decreto ministeriale del 22 marzo 2020 con il quale si è disposta la sospensione delle attività produttive industriali e commerciali per un gran numero di imprese. Per agevolare il sostegno pubblico all’esportazione e migliorare l’incisività e tempestività dell’intervento statale, il decreto legge n. 23 dell’8 aprile 2020, cosiddetto “decreto Liquidità” ha previsto agli articoli 2 e 3 l’introduzione di un sistema di “coassicurazione” in base al quale gli impegni derivanti dall’attività assicurativa di SACE vengono assunti in proprio dallo Stato per il 90% e dalla stessa società per il restante 10%, liberando in questo modo una somma pari a circa 200 miliardi di risorse da destinare al potenziamento dell’export.
Infatti il 1° comma dell’art. 2 del decreto dispone: “Art. 2. – (Misure per il sostegno all’esportazione, all’internazionalizzazione e agli investimenti delle imprese) – 1. All’articolo 6 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 9, dopo il primo periodo, è inserito il seguente: “SACE S.p.A. favorisce l’internazionalizzazione del settore produttivo italiano, privilegiando gli impegni nei settori strategici per l’economia italiana in termini di livelli occupazionali e ricadute per il sistema economico del Paese, nonché gli impegni per operazioni destinate a Paesi strategici per l’Italia”; b) i commi 9-bis, 9-ter, 9-quater, 9-quinquies, 9-sexies, 9-septies e 9-octies sono sostituiti dai seguenti: “9-bis. SACE S.p.A. assume gli impegni derivanti dall’attività assicurativa e di garanzia dei rischi definiti non di mercato dalla normativa dell’Unione Europea, di cui al comma 9, nella misura del dieci per cento del capitale e degli interessi di ciascun impegno. Il novanta per cento dei medesimi impegni è assunto dallo Stato in conformità con il presente articolo, senza vincolo di solidarietà.
La legge di bilancio definisce i limiti cumulati di assunzione degli impegni da parte di SACE S.p.A. e del Ministero dell’economia e delle finanze, per conto dello Stato, sulla base del piano di attività deliberato dal Comitato di cui al comma 9-sexies e approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica. 9-ter. SACE S.p.A. rilascia le garanzie e le coperture assicurative da cui derivano gli impegni di cui al comma 9-bis in nome proprio e per conto dello Stato. Il rilascio delle garanzie e delle coperture assicurative che sono in grado di determinare elevati rischi di concentrazione verso singole controparti, gruppi di controparti connesse o paesi di destinazione, rispetto al portafoglio complessivamente assicurato da
SACE S.p.A. e dal Ministero dell’economia e delle finanze, è preventivamente autorizzato con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Comitato per il sostegno pubblico all’esportazione istituito ai sensi del comma 9-sexies. Le garanzie e le coperture assicurative prevedono che la richiesta di indennizzo e qualsiasi comunicazione o istanza sono rivolte unicamente a SACE S.p.A… (omissis)”; ciò da una parte conferma la gravità della situazione, per la quale nessuna impresa potrebbe assumere direttamente impegni tanto gravosi, e dall’altra la singolarità di uno Stato che si improvvisa “assicuratore” senza esserlo.
Ed invero l’articolo 1883 del codice civile stabilisce che “L’impresa di assicurazione non può essere esercitata che da un istituto di diritto pubblico o da una società per azioni e con l’osservanza delle norme stabilite dalle leggi speciali.” e l’articolo 14 del codice delle assicurazioni prevede al 1° comma: “(Requisiti e procedura) – 1. L’IVASS rilascia l’autorizzazione di cui all’articolo 13 quando ricorrono le seguenti condizioni: a) sia adottata la forma di società per azioni, di società cooperativa o di società di mutua assicurazione le cui quote di partecipazione siano rappresentate da azioni, costituite ai sensi, rispettivamente, degli articoli 2325, 2511 e 2546 del codice civile, nonché nella forma di società europea ai sensi del regolamento (CE) n. 2157/2001 relativo allo statuto della società europea e la forma di Società cooperativa europea (SCE) ai sensi del regolamento (CE) n. 1435/2003; …” e lo Stato non ha alcuno di tali requisiti, potendo al massimo disporre la costituzione di un’apposita società a ciò preposta, ma così non ha fatto.
L’espresso inciso, poi, “senza vincolo di solidarietà”, riportato nella norma, richiama proprio l’art. 1911 del codice civile, che recita: “Coassicurazione – Qualora la medesima assicurazione o l’assicurazione di rischi relativi alle stesse cose sia ripartita tra più assicuratori per quota determinate, ciascun assicuratore è tenuto al pagamento dell’indennità assicurata soltanto in proporzione della rispettiva quota, anche se unico è il contratto sottoscritto da tutti gli assicuratori.”, che esclude appunto la sussistenza di alcun vincolo di solidarietà tra i “coassicuratori”.
L’obiettivo del Governo in questa decisione è stato quello di consentire a SACE di poter assolvere alla crescente richiesta di assicurare operazioni ritenute di interesse strategico per l’economia nazionale, che essa non avrebbe altrimenti la capacità finanziaria di garantire; altra novità de decreto è che SACE verrà profondamente ristrutturata e diverrà EXPORT CREDIT AGENCY a partire da gennaio 2021. Tornando alle varie coperture assicurative, si può affermare che l’eventuale coinvolgimento delle società assicuratrici potrà dipendere in buona parte dalle C.G.A. previste nelle polizze potenzialmente interessate da tali eventi.
L’articolo 103 del codice degli appalti (d. lgs. n. 50/2016) dispone: “Art. 103 (Garanzie definitive) – 1. L’appaltatore per la sottoscrizione del contratto deve costituire una garanzia, denominata “garanzia definitiva” a sua scelta sotto forma di cauzione o fideiussione con le modalità di cui all’articolo 93, commi 2 e 3, pari al 10 per cento dell’importo contrattuale e tale obbligazione è indicata negli atti e documenti a base di affidamento di lavori, di servizi e di forniture. Nel caso di procedure di gara realizzate in forma aggregata da centrali di committenza, l’importo della garanzia è indicato nella misura massima del 10 per cento dell’importo contrattuale. Al fine di salvaguardare l’interesse pubblico alla conclusione del contratto nei termini e nei modi programmati in caso di aggiudicazione con ribassi superiori al dieci per cento la garanzia da costituire è aumentata di tanti punti percentuali quanti sono quelli eccedenti il 10 per cento. Ove il ribasso sia superiore al venti per cento, l’aumento è di due punti percentuali per ogni punto di ribasso superiore al venti per cento. La cauzione è prestata a garanzia dell’adempimento di tutte le obbligazioni del contratto e del risarcimento dei danni derivanti dall’eventuale inadempimento delle obbligazioni stesse, nonché’a garanzia del rimborso delle somme pagate in più all’esecutore rispetto alle risultanze della liquidazione finale, salva comunque la risarcibilità del maggior danno verso l’appaltatore. … “e, in forza di tale obbligo di legge, le stazioni appaltanti pretendono che la garanzia fideiussoria tenga presente le seguenti indicazioni: “agli effetti e per l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte dal soggetto affidatario in dipendenza dell’esecuzione dell’appalto di cui sopra, ivi comprese quelle di natura retributiva e contributiva nei confronti dei propri dipendenti impiegati nell’esecuzione dell’appalto di cui in premessa, nonché quelle derivanti dall’obbligo solidale ai sensi dell’art.105, comma 9 del d. lgs. 50/2016 nei confronti dei dipendenti dei subappaltatori impiegati nell’esecuzione dell’appalto medesimo”.
Le polizze fideiussorie, stipulate a tal uopo, prevedono da una parte una durata pari alla scadenza del contratto di appalto e normalmente l’obbligo per la società assicuratrice di pagare “a prima richiesta” la somma assicurata nei casi di inadempimento contrattuale. Per quanto attiene la scadenza della polizza, si potrebbe ritenere che, stante il blocco dell’attività garantita per disposizione di legge, essa sia automaticamente prorogata per un eguale periodo; diverso è il caso che la stazione appaltante intendesse attivare la polizza per il ritardato (o mancato adempimento) del contratto nei termini convenuti.
È chiaro che, trattandosi di assicurazione con clausola “a prima richiesta”, potrebbero esservi problemi la cui soluzione resterebbe affidata alla valutazione dei magistrati, che non sempre hanno una visione univoca delle questioni sottoposte al loro esame (“tot capita, tot sententiae”). Per quanto attiene le assicurazioni “credito”, molte polizze già hanno clausole che escludono inadempienze conseguenti a “interventi delle autorità del paese di domicilio dell’acquirente, che lo esimono parzialmente o interamente dall’adempimento delle sue obbligazioni oppure rendono impossibile il regolamento del debito entro la scadenza prevista o con la valuta prevista;” per cui è chiaro che crediti insoluti per mancato pagamento da parte di un debitore italiano – che invocasse il primo comma dell’articolo 91 del decreto “cura Italia” – potrebbero (il condizionale è d’obbligo, stante la vaghezza della norma, che attribuisce al giudice l’onere di decidere al riguardo) non ritenersi in garanzia.
Diverso è il caso di crediti relativi a obbligazioni assunte da cittadino o impresa stranieri il cui legislatore non avesse previsto tale esimente della responsabilità patrimoniale, soprattutto per il caso che il contratto a monte neppure prevedesse la previsione della “forza maggiore”. Stesso discorso vale per le assicurazioni per perdite patrimoniali da annullamento di eventi, laddove molte polizze hanno una clausola che stabilisce l’esclusione dei: “Danni derivanti da annullamento conseguente a provvedimenti dell’Autorità o ingiunzione giudiziaria, a meno che non sia determinato da cause al di fuori del controllo dell’Assicurato”; per quanto attiene, poi, le perdite patrimoniali da interruzione di attività, tale garanzia può riguardare le assicurazione “incendio” che coprono tali perdite se conseguenti all’evento incendio, per cui si porrebbe il problema della determinazione di questi danni (a meno che non sia già forfettariamente determinata in una quota percentuale del danno principale) proprio per l’interruzione totale o parziale dell’attività assicurata; analoghe questioni potrebbero sorgere nelle assicurazioni della R.C.G, per le quali, se il rischio fosse compreso o non escluso, vale quanto precisato in merito alle polizze fideiussorie.
Va in definitiva considerato che i problemi connessi a questa situazione emergenziale nelle assicurazioni credito, fideiussioni, perdite patrimoniali da annullamento di eventi e interruzione di attività devono essere esaminati e valutati sulla base delle C.G.A. previste da ciascun assicuratore per ogni tipologia di polizza, considerando che questa pandemia rappresenta un evento eccezionale mai prima valutato in termini statistici e perciò imprevedibile.
Per concludere si deve al momento constatare come la delocalizzazione di settori strategici – quale, ad esempio, le imprese farmaceutiche e di produzione di macchinari e presidi sanitari – dovrebbe essere riconsiderata in relazione alle difficoltà di poter far affidamento – in un caso di emergenza come il presente – su pronte e adeguate forniture atte a soddisfare i bisogni nazionali e come sia reale il timore di una grave ondata di disoccupazione (si parla ormai di milioni di lavoratori), conseguente all’attuale blocco delle aziende, che inevitabilmente potrà accentuare le difficoltà economiche in cui si è trovata la società nell’ultimo decennio, aleggiando lo spettro della grande crisi americana del secolo scorso.
E così, onde evitare l’acquisizione delle nostre migliori e più appetibili imprese da parte di investitori stranieri, è stato previsto il “Golden Power” con cui per un anno è stata rafforzata la normativa che permette allo Stato di interporsi a qualsiasi tentativo di acquisizioni di aziende italiane strategiche, estendendone l’operatività anche ad altri ambiti – come il settore alimentare, finanziario e assicurativo o sanitario – anche se riconducibili a operazioni all’interno dell’UE.
Sul sito americano Zero Hedge la situazione italiana è stata tratteggiata come uno scenario distopico orwelliano per il quale “Le restrizioni tardive, contraddittorie e allo stesso tempo draconiane imposte in Italia – che non hanno uguali negli altri paesi europei – risultano così insensate anche da un punto di vista medico e di ragionevolezza da far pensare alla volontà di minare il morale degli italiani per prepararli a subire il prossimo default ormai inevitabile a causa del lockdown e del rifiuto di qualsiasi adeguata misura di sostegno fiscale.
Lo strumento del MES è già stato predisposto, e così la task force di emergenza, già premunitasi di ogni immunità civile e penale”. Su un giornale on line francese lo scorso 29 aprile il direttore editoriale, ha evidenziato: “Possiamo ancora chiederci se dobbiamo fidarci di coloro che ci hanno messo al muro per indicarci la strada giusta d’ora in poi”, aggiungendo che “La Francia profonda auspica che si lasci a ciascuno di noi la possibilità di lavorare dignitosamente, in condizioni decenti, per un salario onorevole” e ipotizzando che “Il nervo della guerra economica, per finanziare le riforme, sarà quello di tassare chi beneficia maggiormente del sistema pagando meno tasse: i grandi gruppi multinazionali”, con conseguente aumento della tassazione a carico dei cittadini.- È proprio vero, come diceva Ettore Petrolini, che “Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco ma sono in tanti”.