La polizza di responsabilità civile ci tutela ogni qualvolta siamo chiamati a risarcire i danni che provochiamo a terzi, grazie alla manleva della compagnia che provvede alla liquidazione del danno.
Quando la vicenda si complica ed il danneggiato ci chiama in causa si aprono due alternative:
1) la compagnia, in forza del patto di gestione della lite presente nel contratto assicurativo, ci fornisce l’avvocato da lei designato;
2) incarichiamo un legale di nostra fiducia con il benestare della compagnia.
In entrambi i casi le spese del legale incaricato verranno onorate dalla compagnia, unitamente alle spese del giudizio.
Ma se non vogliamo avvalerci del legale propostoci dalla compagnia e ci difendiamo in giudizio in autonomia, allora, non si potrà chiedere a quest’ultima il rimborso del costo nel nostro avvocato, pur invocando l’art. 1917 comma 3 c.c..
È quanto ha confermato la Suprema Corte con l’ordinanza del 19 febbraio 2020 n. 4202, all’esito di un ricorso ove la materia del contendere riguardava il pagamento delle spese legali sostenute dall’assicurato per resistere in causa all’azione del danneggiato.
Il thema decidendum attiene all’applicazione della clausola contenuta nelle CGC del contratto di assicurazione la quale, come nella maggioranza delle polizze, prevede che “la società non riconosce spese incontrate dall’assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati” e alla sua compatibilità con l’art. 1917 comma 3 c.c., il quale dispone che “ le spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato son a carico dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata”.
Il ricorrente lamenta che detta clausola – a sua dire vessatoria e nulla per mancanza di approvazione per iscritto – comunque non impedisce l’applicazione dell’art. 1917, in ragione del fatto che il diniego della compagnia di rimborsare le spese legali sarebbe giustificato solo laddove la compagnia avesse effettivamente esercitato la facoltà di gestire la lite.
A suo dire, dunque, esiste uno stretto rapporto conseguenziale tra la validità della clausola e l’effettiva assunzione della difesa in giudizio ad opera della compagnia, che ove non esercitata rende prevalente l’applicazione dell’art. 1917 comma 3 c.c..
Il Supremo Collegio non è di pari avviso e rafforza quanto deciso dal Giudice di secondo grado, affermando che il problema non attiene alla validità della clausola, bensì alla validità del patto di gestione della lite al quale la clausola è correlata.
Il patto di gestione della lite è clausola del tutto legittima e non si pone in contrasto con il contenuto dell’art. 1917 c.c., giacché la finalità di entrambe le disposizioni è quella di mantenere indenne l’assicurato dalle spese di resistenza in causa.
Il problema attiene, piuttosto, alla circostanza che l’assicurato aveva deciso di non avvalersi della clausola pattizia (ovvero di ricorrere al legale della compagnia ndr) e in ragione di detta sua – pur legittima – scelta, discende l’ovvio corollario che la compagnia non debba assumere la diretta gestione della lite, con conseguente diniego di rimborsare le spese di resistenza al proprio assicurato.
Cassazione Civile ordinanza del 19 febbraio 2020 n. 4202.
Fonte: www.quotidianogiuridico.it