Vanno distinti gli illeciti istantanei da quelli permanenti
Pagine a cura di Gianfranco Di Rago
Sulla prescrizione del diritto dei condomini al risarcimento dei danni da infiltrazione si possono dormire sonni tranquilli sino a che la causa del pregiudizio non sia stata rimossa. Infatti, quando l’illecito extracontrattuale ha natura permanente il termine da cui decorrono i cinque anni per agire a tutela dei propri interessi deve essere individuato non nel momento del suo manifestarsi ma in quello della sua definitiva cessazione. Per quanto riguarda, invece, i gravi difetti di costruzione dell’immobile, il momento dal quale conteggiare i termini di prescrizione e di decadenza si identifica con l’acquisizione da parte del danneggiato di una piena consapevolezza in merito alla natura e alle cause dei vizi e, quindi, secondo quello che normalmente accade in questo tipo di controversie, a partire dalla redazione della perizia con la quale il consulente tecnico di parte evidenzia le difformità dell’opera rispetto allo stato dell’arte. Questi i principi contenuti in due recenti e coeve sentenze della Corte di appello di Milano, n. 610 e n. 492, rispettivamente del 20 e del 12 febbraio 2020.
La prescrizione del diritto dei condomini al risarcimento del danno. Nella specie il tribunale di Milano, all’esito di varie attività istruttorie, aveva condannato i condomini proprietari di un giardino a risarcire il danno conseguente alle infiltrazioni verificatesi nei locali sottostanti per via della perforazione delle guaine protettive interrate a opera delle radici degli alberi. Tra le numerose argomentazioni difensive riproposte anche in sede di appello era stata sollevata l’eccezione dell’avvenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno. Era stato infatti evidenziato come l’insorgere del fenomeno infiltrativo risalisse all’anno 2003 e il condominio non avesse mai contestato alcunché sino al giugno 2009. Di conseguenza, trattandosi di un risarcimento da fatto illecito extracontrattuale, era da intendersi ampiamente decorso il termine quinquennale previsto dall’art. 2947 c.c..
La Corte di appello, nella citata sentenza n. 610 del 20 febbraio scorso, ha valutato detta eccezione con particolare cura, in quanto la stessa, pur sollevata ritualmente dai convenuti in primo grado, non era stata effettivamente esaminata da parte del tribunale. La stessa è comunque stata ritenuta dai giudici infondata. Infatti, pur essendo pacifico che l’illecito contestato ai condomini fosse di natura extracontrattuale e che la sua origine risalisse a oltre cinque anni prima la diffida documentata in atti, era stato evidenziato come l’infiltrazione fosse proseguita per molti anni fino allo svolgimento dell’intervento di rifacimento della guaina impermeabilizzante. I giudici hanno quindi ricordato come, secondo la giurisprudenza della Suprema corte, ai fini della decorrenza del termine prescrizionale occorra distinguere fra illecito istantaneo con effetti permanenti, caratterizzato da un’azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando peraltro permanere i suoi effetti nel tempo, e illecito permanente, nel quale è la stessa condotta illecita a protrarsi nel tempo unitamente all’effetto dannoso.
Ora, mentre nel caso di illecito istantaneo il termine di prescrizione di cui all’art. 2947 c.c. comincia a decorrere dalla prima manifestazione del danno, nel caso di illecito permanente, tenuto conto del fatto che il danno continua a perpetuarsi di giorno in giorno, la prescrizione ricomincia a decorrere quotidianamente, fino alla definitiva cessazione della condotta dannosa. Nel caso di specie i fenomeni infiltrativi avevano sì cominciato a manifestarsi nel 2003, ma erano poi proseguiti anche negli anni successivi, per cessare solo con i lavori di rifacimento della guaina impermeabilizzante eseguiti nel 2011 ed erano stati causati dall’inerzia dei condomini appellanti, i quali non avevano provveduto a estirpare gli alberi che, con le loro radici, avevano determinato una progressiva fessurazione della guaina medesima.
Il momento dal quale decorrono i termini di prescrizione e decadenza per la denuncia dei gravi vizi di costruzione dell’immobile. Nel caso preso in esame dalla Corte di appello di Milano nella diversa sentenza n. 492 del 12 febbraio 2020, l’impresa appaltatrice che a seguito della pronuncia di primo grado era stata condannata a risarcire il condominio per i danni arrecati, aveva proposto gravame avverso la sentenza, sostenendo l’erronea applicazione del disposto di cui all’art. 1669 c.c. relativamente all’individuazione del momento in cui poteva ritenersi che il committente avesse acquisito la piena conoscenza dei vizi al fine dell’accoglimento delle eccezioni di prescrizione e decadenza.
Occorre ricordare che in materia di gravi vizi degli immobili ex art. 1669 c.c. l’eccezionale durata decennale della garanzia di cui gode il committente e i suoi aventi causa, ivi naturalmente compresi il condominio e i singoli condomini, è temperata da regole particolarmente severe in tema di esercizio dell’azione, poiché il soggetto danneggiato deve denunciare il fatto all’appaltatore entro un anno dalla sua scoperta (a pena di decadenza) e la conseguente azione giudiziale deve essere promossa entro un ulteriore anno da essa (a pena di prescrizione).
L’impresa aveva evidenziato l’immediata percepibilità dell’entità e delle cause dei ristagni d’acqua e delle esalazioni di odori provenienti dal locale rifiuti e come al contrario il condominio avesse denunciato tale situazione a distanza di nove anni dalla consegna dell’immobile. La Corte di appello, confermando sul punto la decisione di primo grado, ha però ricordato che in questo genere di casi la questione centrale che il giudice è chiamato a valutare nell’individuare il dies a quo dal quale fare decorrere il termine annuale per la denuncia consiste nel distinguere tra il mero sospetto che il danneggiato può avere della gravità del vizio e della sua derivazione causale e la conoscenza effettiva di tali circostanze. Il fatto che i vizi possano essersi manifestati ben prima della loro denuncia dimostra esclusivamente che il danneggiato poteva nutrire il sospetto della loro esistenza, ma non è di per sé elemento sufficiente a ritenere provata la piena conoscenza degli stessi.
Tale consapevolezza può quindi essere conseguita anche tramite una perizia di un consulente tecnico che attesti le difformità e determini la causa dei vizi. In questo caso i termini di decadenza e prescrizione decorrono soltanto da tale data. Quanto sopra, tuttavia, a condizione che la perizia richiesta dal danneggiato apporti effettivamente nuove informazioni in merito alla sussistenza dei difetti e alla loro origine e non si limiti a confermare quanto già a questi noto. Anche in quest’ultimo caso vi è però un’ultima considerazione da fare. Secondo la Corte di appello occorre infatti considerare che la disciplina restrittiva di cui all’art. 1669 c.c. ha natura speciale rispetto a quella di cui all’art. 2043 c.c., con cui condivide la fonte extracontrattuale della responsabilità. Ne discende che, ove non sia applicabile la norma speciale, quindi per esempio anche nel caso in cui non siano stati rispettati i più brevi termini di decadenza e prescrizione ivi indicati, può farsi applicazione della disciplina generale, che prevede un termine di prescrizione quinquennale, a condizione che sia fornita la prova della responsabilità dell’appaltatore, che nella disciplina speciale è invece presunta.
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