Con la pubblicazione in G.U. del dm attuativo si sblocca il mercato dei piani di risparmio
Si punta su piccole e medie imprese e venture capital
Pagina a cura di Stefano Loconte e Luigi A. M. Rossi
Fissato un limite massimo per il finanziamento del rischio a favore di pmi. A stabilirlo è il decreto del 30 aprile 2019, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 105 dello scorso 7 maggio, a firma dei ministri dello sviluppo economico e dell’economia e finanze. Tenendo conto di tutte le risorse finanziarie ricevute, a titolo di qualsiasi misura di aiuto, il finanziamento del rischio a favore di pmi da parte dei piani individuali di risparmio e dei fondi di venture capital, non potrà eccedere i 15 milioni di euro, tetto già preannunciato in sede di bozza, e ora confermato.
I Pir pre riforma. Fino alla pubblicazione delle legge di bilancio, che ne ha ridisegnato le caratteristiche, i Pir viaggiavano a ritmi ritenuti soddisfacenti, avendo registrato una raccolta di circa 15 miliardi negli ultimi due anni, 800 mila sottoscrittori dei fondi comuni italiani, con un investimento medio che si aggirava attorno ai 13.500 euro. Inoltre, i risultati della gestione dei fondi Pir, hanno evidenziato guadagni compresi in una forbice dal 3,6% al 20% solo nel primo quadrimestre del 2019.
I motivi della performance positiva vanno ravvisati in primis nelle vantaggiose agevolazioni fiscali, in quanto l’investimento in un piano individuale di risparmio, detenuto per almeno 5 anni, determina la non imponibilità dei redditi prodotti dall’investimento (sia i redditi di capitale che i redditi diversi), nonché l’esenzione dall’imposta sulle successioni; altresì, va considerato il generale gradimento riscontrato negli investitori retail di poter contribuire alla crescita delle piccole e medie imprese italiane e, quindi, allo sviluppo economico del Paese.
Tutto ha subito un arresto quando la legge di bilancio ha introdotto delle previsioni sulla composizione dei Pir di nuova generazione, i quali dovranno destinare parte dei propri fondi al comparto dell’innovazione e delle startup (che la manovra ha voluto fortemente favorire), nonché subordinando l’attuazione dei nuovi Pir all’emanazione del decreto attuativo (pronto entro fine febbraio, poi pronto entro fine marzo) finalmente pubblicato.
E il mercato, che fino ad oggi ha potuto operare solo attraverso la raccolta destinata ad alimentare i Pir sottoscritti prima dell’1°gennaio 2019, ora potrà dirsi (si spera) sbloccato, essendo oramai certe le regole per creare prodotti conformi alla nuova normativa.
Le novità del decreto. Confermate dal decreto tutte le principali caratteristiche dei Pir di nuova generazione come delineati dalla legge di bilancio 2019, la quale, dettando nuovi criteri di asset allocation dei fondi, prevede che almeno il 70% del valore complessivo delle somme destinate nel piano di risparmio a lungo termine, debba essere investito in strumenti finanziari anche non negoziati nei mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione emessi o stipulati con imprese residenti nel territorio dello Stato, specificando che:
a) il 5% di tale quota deve a sua volta essere investito in strumenti finanziari emessi da pmi non quotate, residenti nel territorio dello stato, che non hanno ricevuto aiuti di stato per importi superiori a 15 milioni di euro, che non hanno operato in alcun mercato, o che vi operino da meno di sette anni dalla prima vendita commerciale, e che necessitino di un investimento iniziale per il finanziamento del rischio che, sulla base di un piano aziendale elaborato, per il lancio di un nuovo prodotto o l’ingresso su un nuovo mercato geografico, è superiore al 50% del suo fatturato medio annuo negli ultimi 5 anni;
b) un ulteriore 5% di tale quota dovrà essere investito in quote o azioni di fondi per il venture capital residenti nel territorio dello stato.
Specifica il decreto che, al fine del computo della quota del 5% del valore complessivo degli investimenti qualificati in strumenti finanziari ammessi alle negoziazioni sui sistemi multilaterali di negoziazioni emessi da pmi ammissibili, e della quota del 70% dei capitali raccolti dai fondi per il venture capital, si considerano ammissibili anche gli investimenti in equity (conferimento in capitale di rischio attraverso la sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi e strumenti rappresentativi del capitale), e investimenti quasi-equity (tipo di finanziamento che si colloca tra equity e debito, il cui rendimento si basa sui profitti o sulle perdite, non è garantito in caso di cattivo andamento dell’impresa).
Chiarito inoltre il limite agli aiuti per il finanziamento del rischio che ciascuna pmi può ricevere, il cui ammontare è stabilito nella misura massima di 15 milioni di euro, comprensivo di ogni forma di aiuto ricevuta a qualsiasi titolo per il finanziamento del rischio.
A tal proposito, già in sede di bozza del decreto, è stata introdotta la previsione per gli intermediari abilitati presso i quali sono costituiti i piani di risparmio, di dover acquisire una specifica dichiarazione del legale rappresentante dell’impresa, che attesti di non aver ricevuto risorse finanziarie a titolo di aiuto (in qualsiasi misura) superiore a detta soglia.
A questa dichiarazione, obbligatoria per l’accesso al finanziamento del rischio, va integrata una dichiarazione che attesti la sussistenza dei requisiti richiesti per l’accesso ai fondi da parte delle pmi.
Rispetto alla bozza, è stata eliminata la previsione che tali dichiarazioni possano essere sostituite da una certificazione rilasciata dal soggetto incaricato di effettuare la revisione legale del bilancio, o da parte di una società di revisione.
Confermato invece l’obbligo sia per i fondi, che i soggetti intermediari, di acquisire, al momento dell’investimento iniziale, il piano aziendale della pmi oggetto di investimento e, al momento di effettuare gli investimenti ulteriori, una dichiarazione che attesti che non sia stato superato l’importo di 15 milioni per gli aiuti, e che l’impresa non sia diventata collegata di altra impresa che non sia una pmi (laddove per «impresa collegata» l’articolo 1, lettera n), del decreto, rimanda alle definizioni dell’art. 2359 del codice civile in tema di impresa controllata).
Ulteriore caratteristica operativa dei nuovi Pir è che sia i soggetti intermediari che i fondi di venture capital, potranno acquistare quote o azioni di una pmi (che rispetti i requisiti elencati) anche da un investitore precedente, a condizione che ciò avvenga in combinazione a un apporto di nuovo capitale pari al 50% dell’ammontare complessivo dell’investimento, circostanza che potrebbe avere dei riflessi sul mercato secondario delle pmi.
Degno di nota è l’articolo 6 del decreto, con il quale il ministero dello sviluppo economico espressamente dichiara che, decorsi sei mesi dalla data di pubblicazione del decreto, provvederà a monitorare gli effetti prodotti dalla modifica normativa intervenuta con la legge di bilancio, per valutare sia l’entità della raccolta e il numero di negoziazioni, e sia valutare l’opportunità di interventi normativi ulteriori.
Monitoraggio che si rivela necessario, in quanto, allo stato, non possono dirsi superate le perplessità che generano i Pir 2.0, i quali investendo su fondi di venture capital e in pmi quotate su Aim (con una quota pari al 7% del totale del fondo), sicuramente elevano il livello di rischio, rispetto alla versione precedente.
Sebbene i Pir «originali», non fossero del tutto estranei all’investimento in azioni delle pmi quotate, la previsione di una destinazione vincolata del fondo in favore del finanziamento del rischio, dovrà fare i conti anche con i piccoli investitori che, proprio grazie ai Pir, si sono avvicinati all’industria del risparmio gestito, ma senza mai associarlo però ad investimenti rischiosi.
La differenza strutturale tra le due categorie di Pir è evidente.
Quanto alla decorrenza, viene stabilità la retroattività a partire dal 1° gennaio 2019, con ciò volendosi intendere che tali disposizioni non troveranno applicazione nei confronti dei piani di risparmi a lungo termine costituiti nel 2017 e 2018, i quali continueranno a distinguersi dai Pir 2.0, e potranno essere alimentati secondo le previgenti disposizioni valevoli in sede di sottoscrizione.
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