Il provvedimento attuativo è stato pubblicato in gazzetta Ufficiale
La norma prevede che per accedere alle agevolazioni il 70% dei Piani individuali di risparmio debba essere investito per il 5% in titoli negoziati su sistemi multilaterali e per almeno il 5% in venture capital
di Andrea Pira
Sono serviti i tempi supplementari per varare il decreto attuativo sui Pir2. Il provvedimento, che rivede la normativa su i Piani Individuali di Risparmio introdotti per la prima volta nel 2016, era pronto da tempo ma è rimasto parcheggiato al ministero dello Sviluppo Economico per circa un mese prima di essere pubblicato ieri sera in Gazzetta Ufficiale, anche per via di contrasti (emersi con l’esclusione della norma dall’ultimo decreto Crescita) con il ministero dell’Economia sulla strada da seguire. Secondo la Legge di Bilancio sarebbe dovuto arrivare entro fine aprile. I dubbi degli operatori, che a inizio anno avevano lamentato il blocco dei nuovi investimenti causato proprio dalla revisione in manovra, avevano invece spinto la politica a promettere l’arrivo del decreto scritto di concerto da Mef e Mise già per fine febbraio.
Sono dovuti trascorrere altri due mesi per limare il testo e far sì che le nuove norme sugli strumenti pensati per far fluire risorse alle piccole e medie imprese potessero partire. Le nuove regole introducono l’obbligo per i fondi comuni di nuova costituzione di investire il 3,5% della raccolta in pmi (quotate e non) e in venture capital. Accantonata l’ipotesi della gradualità per raggiungere la quota prefissata, per accedere all’agevolazione il 70% del valore complessivo dei Pir deve essere investito per un 5% in strumenti finanziari emessi da pmi ammissibili e scambiati su sistemi multilaterali di negoziazione e per almeno un 5% in venture capital. Le pmi, secondo la normativa comunitaria, sono identificate come aziende che hanno fino a 250 dipendenti, 50 milioni di fatturato oppure il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni.
Queste aziende non devono essere quotate su un mercato regolamentato (quindi il segmento Aim di Borsa Italiana rientra nella corretta fattispecie) e non devono aver ricevuto risorse finanziarie un importo superiore a 15 milioni. Le pmi inoltre non devono aver operato in alcun mercato oppure devono operare da meno di sette anni dalla prima vendita commerciale (una precedente bozza specificava che questa andava intesa come la prima cessione sistematica di uno specifico bene o servizio» ad esclusione dei test di mercato). Eventuali investimenti dopo tale limite saranno possibili soltanto se non si è superata la quota dei 15 milioni o se ulteriori investimenti sono previsti dal piano aziendale. Sparisce invece la certificazione rilasciata dal revisore legale di bilancio che può sostituire la dichiarazione del legale rappresentate dell’impresa che attesta il non aver superato la soglia massima di risorse da ricevere.
Tali paletti, secondo una simulazione fatta lo scorso marzo da MF-Milano Finanza, garantirebbe di poter investire in circa 70 società dell’Aim, vale a dire nei due terzi del segmento. Date anche le polemiche sugli effetti avuti dalle modifiche ai Pir intervenute con la manovra, il Mise si riserva di monitorare gli effetti dei correttivi sulla raccolta e il numero delle negoziazioni e ne caso di valutare ulteriori opportunità di intervento in futuro. (riproduzione riservata)
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