È un rapporto complicato quello degli italiani con il mondo digitale. A sostenerlo è il report Retail Transformation, presentato nei giorni scorsi da Digital Transformation Institute e CFMT alla Sala Mappamondo della Camera dei Deputati.
Dallo studio realizzato in collaborazione con Assintel e SWG, si rileva come gli italiani siano appassionati di tecnologia e curiosi di saperne di più su Big Data, Realtà Aumentata, Intelligenza Artificiale, ma allo stesso tempo dimostrino una certa paura nello sperimentarne le opportunità.
L’80% degli intervistati ha detto di essere incuriosito dalle nuove tecnologie, mentre
Il 58% sostiene di trovarsi a proprio agio con i device più tecnologici. Inoltre, il 47% del campione si considera utente advanced, il 31% medio e un 30% è convinto di cavarsela bene con i nuovi strumenti tecnologici.
Dal punto di vista emozionale, il 27% sostiene di essere appassionato al tema dell’innovazione tecnologica, il 22% prova gioia, ma poi a guardare i numeri della ricerca ci si rende conto che il nostro Paese occupa la quartultima posizione della classifica europea sulle competenze digitali.
Curioso il fatto che è molto alta la percentuale di chi non ha mai usato un mezzo di trasporto condiviso usando un’app (75%), così come di coloro che non hanno mai pagato contactless con lo smartphone (61%) e mai utilizzato una smart TV (54%).
Quando si scende nello specifico e si cominciano a nominare le tecnologie, il campione ostenta sicurezza: le persone conoscono molto bene il termine Intelligenza Artificiale (36%), ne hanno sentito parlare e sanno a cosa serve e come si può usare (46%). Tuttavia, non hanno mai utilizzato un assistente vocale (41%), almeno non in modo consapevole, così come non gestiscono elettrodomestici o altri dispositivi della casa via smartphone. Lo scenario si ripete quando si parla di Realtà Aumentata, conosciuta dal 92% degli intervistati ma mai usata dal 43%, o Blockchain associata a bitcoin, conosciuti dall’81% degli utenti ma utilizzati solo da solo il 3% degli intervistati. Contraddizioni importanti emergono poi quando si parla di raccolta dei dati degli utenti, privacy e servizi personalizzati realizzati proprio grazie all’analisi di questi ultimi. È considerato utile avere informazioni e servizi personalizzati su prodotti che si stanno cercando grazie ai Social Media (84%), ma si considera gravemente lesiva della privacy la raccolta dei dati effettuata dagli stessi social (77%). Quella raccolta dati che serve sì per profilare l’utente a fine pubblicitari, ma senza la quale i servizi personalizzati non sarebbero possibili. Stefano Epifani, presidente dell’Istituto sostiene che le contraddizioni portate alla luce dal report “nascono dal fatto che viviamo in un’Italia a due velocità. Da una parte gli utenti entrano in contatto con servizi che sono globalmente disponibili (si pensi ai social media, agli assistenti vocali, agli smartphone di ultima generazione). Dall’altra vivono in un contesto sociale, economico e culturale che su questi temi sconta una distanza significativa rispetto agli altri Paesi in merito alla cultura digitale. In altre parole abbiamo la disponibilità degli strumenti tecnici, ma non la consapevolezza necessaria per sfruttarne le potenzialità. Con il risultato poco confortante di rischiare di coglierne prevalentemente gli aspetti negativi rispetto a quelli positivi. Gli utenti guardano con fiducia a questi scenari, ma non si rendono conto del come fare per trasformare questa fiducia del tutto teorica in un’opportunità concreta. E questa situazione non fa che peggiorare quando invece che di utenti si parla di Piccole e Medie Imprese, che poi sono fatte da utenti che dovrebbero comprendere come i nuovi scenari tecnologici impattino sul business. Insomma: la sfida ancora una volta è su consapevolezza e competenze. Due fattori dai quali non possiamo prescindere per cercare di fare della trasformazione digitale una leva di crescita e di sviluppo piuttosto che una minaccia dalla quale guardarci”.