Una recente pronuncia della Cassazione sembra escludere i benefici fiscali se il prodotto non garantisce il capitale. Ma le interpretazioni non sono univoche, tanto che una direttiva Ue dice il contrario. In ogni caso i veri problemi sono costi e rendimenti
di Paola Valentini
Chi ha in portafoglio una polizza Vita unit linked è stato assalito dai timori di perdere i relativi benefici fiscali. Ansie innescate da una nuova sentenza della Corte di Cassazione che ha fatto tremare i risparmiatori ma ha creato scompiglio anche tra gli assicuratori. In sostanza i giudici hanno detto che le polizze Vita sono da considerarsi strumenti assicurativi solo se garantiscono il capitale investito. Altrimenti sono prodotti finanziari e quindi perdono il loro punto di forza, cioè l’esenzione dall’imposta di successione, il calcolo delle tasse sulle plusvalenze al momento dell’incasso, la non pignorabilità e non sequestrabilità. Nel mirino sono subito finite le unit-linked (ramo III). La pronuncia della Cassazione è piombata nel bel mezzo del boom della raccolta in Italia. In base ai dati Ania, l’associazione degli assicuratori presieduta da Maria Bianca Farina, le unit linked nei primi due mesi del 2018 hanno raccolto 4,8 miliardi, quasi il 20% in più sullo stesso periodo 2017, un terzo della nuova produzione totale del Vita (dominano ancora le polizze di ramo I con 9,3 miliardi, che però sono cresciute del +1,5%).
«Tutte le compagnie italiane puntano molto su tali prodotti, per la loro redditività (le commissioni sono mediamente più elevate rispetto ai fondi, ndr) e perché meno impegnative sul piano patrimoniale (rispetto alle polizze di ramo I assorbono meno capitale ai fini della solvibilità, ndr)», afferma Banca Akros. «Le unit sono centrali nella strategia delle assicurazioni perché, rispetto alle polizze tradizionali, offrono vantaggi in fase di asset allocation», sottolinea Equita Sim. Avendo come sottostante fondi comuni (o sicav) possono puntare sui mercati finanziari in modo più aggressivo rispetto alle polizze di ramo I che danno più peso alle obbligazioni per garantire il capitale. Mediobanca Securities nota che nel 2017 le unit linked hanno raccolto più di 25 miliardi, il 35% dei premi totali, e stando ai dati Ania 2016 (gli ultimi disponibli) i primi tre operatori sono Intesa Sanpaolo Vita (6,9 miliardi di premi nel 2016), Allianz (3,7) e Generali (2,3). «Peraltro tutta la raccolta netta di Generali nel 2017 consiste in unit linked e prodotti misti (che combinano ramo I e ramo III, ndr)», osserva ancora Mediobanca . Le unit sono entrate anche in molte reti di private banker. «La sentenza tocca tutte le società del risparmio gestito, che fanno uso sempre più ampio delle polizze come efficiente contenitore di strumenti finanziari». Ne sono esempi Banca Generali , ma anche Banca Mediolanum . Ma ora la pronuncia della Corte presieduta da Giovani Mammone potrebbe frenare i flussi. Banca Akros sottolinea che «le unit linked potrebbero perdere appeal, rendendone il collocamento più difficile». Fa eco Equita Sim: «Le conseguenze della sentenza andranno valutate nel dettaglio, ma certo nel breve l’attività commerciale subirà un rallentamento». C’è però anche chi la pensa diversamente. «Date le incertezze sull’interpretazione della sentenza, non si può concludere che l’impatto sulla distribuzione delle unit linked sarà negativo», avvertono da Banca Imi. Queste polizze peraltro nell’ultimo anno hanno offerto rendimenti anche a doppia cifra, come emerge dai dati Fida (si veda tabella). E anche dai legali esperti di assicurazioni si levano voci che invitano alla prudenza, suggerendo che la pronuncia della Corte potrebbe risolversi nel classico tanto rumore per nulla.
Occorre quindi fare chiarezza, partendo da un dato importante. Il riferimento al fatto che le polizze che non garantiscono i premi pagati non sono strumenti assicurativi ma finanziari è inserito secondariamente nel contesto della sentenza, il cui oggetto non è una unit ma una index linked. «La sentenza si riferisce soprattutto a una specifica polizza index linked, di cui si valutano aspetti di natura regolamentare in cui è parte in causa anche una fiduciaria», spiega Roberto Lenzi, avvocato patrimonialista dello studio Lenzi e Associati. Fa eco Andrea Polizzi, socio dello studio D’Argenio Polizzi: «Al di là dell’enfasi dei primi commenti, la decisione, e con essa la sua portata, va correttamente riferita al caso concreto, una polizza stipulata nel 2006, senza alcun documento informativo a supporto e alle norme Ue e nazionali di riferimento».
Quanto al rischio di un eventuale disconoscimento del contratto assicurativo in assenza del requisito della protezione del capitale, «la Cassazione non aggiunge alcunché di nuovo rispetto all’orientamento già manifestato dalla prevalente giurisprudenza, soprattutto negli ultimi anni, pur in un contesto caratterizzato da posizioni contraddittorie in cui è molto difficile definire i requisiti che una polizza deve avere per essere correttamente definita assicurazione. Ogni volta infatti i giudici di merito sono intervenuti nell’analisi del caso particolare», prosegue Lenzi. In sostanza non esiste alcuna legge in forza della quale il Fisco può affermare che le unit linked sono prodotti finanziari. Anzi alcune norme dicono il contrario, quindi la materia si presta a interpretazioni legate al singolo caso perché le unit linked, nella veste strumenti assicurativi, in sostanza si comportano come fondi d’investimento. «La pronuncia non ha valore di precedente vincolante, e si pone in potenziale contrasto con i dati normativi nazionali ed europei nonché con l’orientamento interpretativo della Corte di Giustizia dell’Ue, che depongono a favore della natura comunque assicurativa dei prodotti di ramo terzo e contrastano con una riqualificazione generalizzata delle polizze assicurative di tipo unit-linked», spiega Polizzi. Quindi i giudici, se le polizze sono state vendute ai risparmiatori senza trasparenza informativa, potrebbero riqualificarle come strumenti finanziari per risarcire il sottoscrittore. Questo perché i contorni della materia non sono ben definiti. Non a caso l’Ania assume una posizione più rassicurante: «La sentenza della Corte non definisce i contratti Vita ma si riferisce a un caso specifico, caratterizzato dal ruolo assunto da una società fiduciaria. Il caso in giudizio riguarda, in particolare, errori di trasparenza e comportamento su un singolo prodotto, collocato nel 2006». Resta quindi impregiudicata, anche per l’Aipb, l’associazione nazionale del private banking presieduta da Fabio Innocenzi, la natura assicurativa delle unit linked «e non potrebbe essere altrimenti visto che ciò è stabilito dal legislatore europeo e nazionale», spiega Aipb. Peraltro tutte queste situazioni dovranno presto essere valutate in rapporto alla nuova direttiva sulla distribuzione assicurativa (Idd)in vigore nell’autunno prossimo, che allinea i prodotti assicurativi a quelli finanziari. «La Idd è chiara nell’affermare che le polizze di ramo III sono prodotti Vita distribuiti da agenti, banche e broker», spiega ancora Polizzi. Ma come funzionano le unit linked? «Gran parte di esse sono pure: vale a dire che il rischio di investimento, inteso come variabilità totale o parziale degli attivi sottostanti da cui dipende l’entità della prestazione, è in prevalenza a carico del cliente. Unica garanzia assicurativa è la copertura di rischio morte dell’assicurato», prosegue Lenzi. Tuttavia alcune compagnie che hanno proposto contratti (sia di nuova emissione che attraverso integrazioni con apposita appendice per quelli già emessi e per assicurati con un limite massimo di età) «in cui il rischio di investimento è stato escluso con la garanzia totale o parziale del premio versato, mediamente dal 90 al 100%, al termine della polizza, cioè al decesso dell’assicurato, tali comunque da traslare sulla compagnia il rischio dell’investimento», rivela Lenzi. Un esempio è una polizza proposta da Allianz : la nuova unit Active4Life (legata al fondo Agl Allianz Strategy Select 50) garantisce il 90% del controvalore delle quote rilevato alla ricorrenza annua precedente. «La giurisprudenza che ha portato a riqualificare una polizza sulla vita ha riguardato soprattutto le unit linked pure», afferma Lenzi. I principali vantaggi di una polizza sulla vita riguardano, come si accennava, gli ambiti fiscale e successorio. Sotto il primo profilo, l’imposizione sull’eventuale capital gain è differita al momento dell’eventuale riscatto oppure dell’evento morte e non durante la maturazione della polizza. In caso di successione, invece, le prestazioni erogate ai beneficiari sono escluse dall’imposta e non rientrano nell’asse ereditario (quindi si possono nominare come beneficiari anche non eredi a patto di non ledere la legittima). Qualora la polizza fosse riqualificata come prodotto finanziario puro, i vantaggi di natura fiscale e successoria verrebbero meno, e si perderebbero la non pignorabilità e la non sequestrabilità.
Come avvicinarsi a tali strumenti? Utile l’intervento di esperti in materia non in conflitto d’interesse e in grado di valutare il singolo contratto cercando di apportare correttivi se necessari, per evitare contenziosi dagli esiti imprevedibili. È il caso di inserire nel contratto appendici che prevedono garanzie sul capitale investito. Così si rafforza il contenuto assicurativo della polizza evitando contenziosi. Ma vi sono preclusioni per gli assicurati oltre una certa età. Se quindi i benefici fiscali sono al riparo, altri fattori vanno considerati nella scelta, a partire dai costi. AcomeA osserva che la compagnia può trattenere sul versamento anche il 10%, poi ci sono la commissione di gestione della unit linked, tra l’1 e il 2%, detratta dal rendimento del fondo, e i costi dei fondi acquistati, che vanno dallo 0,8 al 2% annuo. Dunque le unit, efficaci ai fini successori e fiscali, sono «indicati per risparmiatori dinamici e desiderosi di investire nei mercati finanziari con un portafoglio molto personalizzato. Non è l’identikit del risparmiatore medio. Ecco perché è difficile spiegare il loro boom solo con i vantaggi fiscali e successori. Sembra prevalere la spinta allo sportello per un prodotto interessante ma costoso e poco chiaro», chiosa AcomeA.
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