La Suprema corte ha ricostruito il sistema probatorio
di Paolo Cirasa e Chiara Di Maria
Escluso il risarcimento dei danni causati dal fumo quando alla base della fattispecie c’è un atto libero, consapevole ed autonomo di un soggetto dotato di capacità di agire, quale la scelta di fumare nonostante la notoria nocività del fumo. Nell’accertamento della responsabilità civile, infatti, il primo presupposto da verificare è l’esistenza del nesso eziologico tra quello che s’assume essere il comportamento potenzialmente dannoso e il danno che si assume esserne derivato. Una volta verificato che il nesso non sussiste non ha più rilevanza né l’accertamento di un’eventuale colpa, né l’accertamento di una eventuale responsabilità speciale (con tutto ciò che ne consegue in ordine all’inversione dell’onere probatorio). La Cassazione, sez. III, con la sentenza 11272 del 10/5/2018, ricostruisce le norme applicabili ai danni da fumo e ripercorrendone il regime probatorio applicabile, evidenzia come alla base di ogni pronuncia di responsabilità, sia essa di natura contrattuale o extracontrattuale, ci sia l’accertamento del nesso di causalità tra la condotta potenzialmente dannosa e l’evento di danno; in mancanza di tale riscontro non è riconoscibile alcun risarcimento a chi, a qualunque titolo, si ritenga danneggiato. Nel caso portato all’attenzione della Cassazione, il ricorrente chiedeva la condanna dei ministero delle Finanze e della Salute e delle Dogane al pagamento dei danni patrimoniali e non, subiti a causa della gravissima malattia (un carcinoma al lobo inferiore del polmone sinistro) che aveva contratto a causa del fumo. L’istante, nel dettaglio, rappresentava di aver iniziato a fumare in giovane età, ma di non essere riuscito a smettere a causa del forte bisogno di consumare sigarette ingenerato dalle sostanze chimiche inserite all’interno delle sigarette, tale da provocare un bisogno imperioso con dipendenza psichica e fisica tali da indurlo a divenire un tabagista incallito. Da qui anche l’asserita responsabilità del ministero della Salute, il quale avrebbe omesso di salvaguardare la salute pubblica non obbligando le multinazionali e lo Stato ad offrire un prodotto quanto più naturale possibile, privo di rischi per la salute e di quelle sostanze che producono assuefazione. La Corte ha affermato la preliminarietà dell’accertamento del nesso di causalità tra la condotta potenzialmente dannosa e il danno, rispetto alla declaratoria di responsabilità, sia essa di natura contrattuale o extracontrattuale. Facendo uso di tali coordinate ermeneutiche, la Cassazione esclude la spettanza di ogni diritto al risarcimento, poiché la causa del lamentato danno, in ossequio alla teoria della causa prossima di rilievo, sarebbe la scelta libera e consapevole del danneggiato di diventare fumatore. La dannosità del fumo, precisa la sentenza aderendo alle argomentazioni della Corte d’appello, costituisce sin dagli anni 70 un dato di comune esperienza, essendo nota già allora la circostanza che l’inalazione di fumo fosse dannosa alla salute e provocasse il cancro. Che il fumo faccia male, ritiene la Corte, è un fatto notorio, anche se per ragioni culturali, sociali o di costume il vizio del fumo era più accettato, né può avere una valenza risarcitoria la circostanza che un espresso avvertimento sulla dannosità sia stato introdotto dall’art. 46 L. 428/1990, poiché ha l’intento di affermare una nozione da lungo tempo di comune esperienza.
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