L’espressione “danno dinamico-relazionale” comparve per la prima volta nel d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, il quale stabilì che oggetto dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro fosse l’indennizzo del danno biologico, e delegò il Ministro del lavoro ad approvare una tabella delle menomazioni, cioè delle percentuali di invalidità permanente, in base alla quale stimare il danno biologico indennizzabile dall’Inail.
Nel conferire al governo tale delega, il decreto stabilì che l’emananda tabella dovesse essere comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali.
Come dovesse intendersi tale espressione non era dubitabile: fino al 2000, infatti, l’Inail aveva indennizzato ai lavoratori infortunati la perdita della attitudine al lavoro, e l’aveva fatto in base a una tabella, allegata al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che teneva conto unicamente delle ripercussioni della menomazione sull’idoneità al lavoro.
Pertanto, nel sostituire l’oggetto dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro (sostituendo l’incapacità lavorativa generica col danno biologico), il legislatore con tutta evidenza volle precisare che la nuova tabella, in base alla quale si sarebbe dovuto stabilire il grado di invalidità permanente, dovesse tenere conto non già delle ripercussioni della menomazione sull’abilità al lavoro, ma delle ripercussioni di essa sulla vita quotidiana della vittima, che il legislatore ritenne di definire come aspetti dinamico-relazionali.
L’espressione in esame ricomparve nella L. 5 marzo 2001 n. 57 art. 5, con la quale si intervenne sulla disciplina dei danni causati dalla circolazione dei veicoli.
Tale norma, dopo avere definito la nozione danno biologico, dettato il relativo criterio di risarcimento, e stabilito che la misura ivi prevista potesse essere aumentata del 20% per tenere conto delle condizioni soggettive del danneggiato, delegò il governo ad emanare una specifica tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità (L. n. 57 del 2001 art. 5 comma quinto).
Il governo vi provvide col D.M. 3 luglio 2003 (in Gazzetta Ufficiale 11.9.2003 n. 211).
Tale decreto, tuttora vigente, include un allegato, intitolato Criteri applicativi, nel quale si afferma che la commissione ministeriale incaricata di stilare la tabella delle menomazioni vi aveva provveduto assumendo a base del proprio lavoro la nozione di danno biologico desumibile sia dal d.lgs. n. 38 del 2000, sia dalla L. n. 57 del 2001: ovvero la menomazione dell’integrità psico-fisica della persona, la quale esplica una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti personali dinamico-relazionali della vita del danneggiato.
Dunque anche in quel testo regolamentare con l’espressione compromissione degli aspetti dinamico-relazionali non si volle designare un danno a sé, ma la si usò puramente e semplicemente come perifrasi della nozione di danno biologico.
Nel medesimo Decreto 3 luglio 2003, inoltre, nell’ulteriore Allegato 1, si soggiunge che ove la menomazione incida in maniera apprezzabile su particolari aspetti dinamico-relazionali personali, lo specialista medico legale dovrà fornire motivate indicazioni aggiuntive che definiscano l’eventuale maggiore danno.
Il senso combinato delle due affermazioni è chiaro: il danno biologico consiste in una ordinaria compromissione delle attività quotidiane (gli aspetti dinamico-relazionali); quando però esso, a causa della specificità del caso, ha compromesso non già attività quotidiane comuni a tutti, ma attività particolari (ovvero i particolari aspetti dinamico-relazionali), di questa perdita dovrebbe tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente.
Per la legge, dunque, l’espressione danno dinamico-relazionale non è altro che una perifrasi del concetto di danno biologico.
L’interpretazione appena esposta del d.lgs. n. 38 del 2000, art. 13 e della L. n. 57 del 2001, art. 5 (poi abrogato e oggi confluito nell’art. 139 cod. ass.) è corroborata dalle indicazioni della medicina legale.
Il danno non patrimoniale derivante da una lesione della salute è per convenzione liquidato assumendo a base del calcolo il grado percentuale di invalidità permanente.
Il grado di invalidità permanente è determinato in base ad apposite tabelle predisposte con criteri medico-legali: talora imposte dalla legge e vincolanti (come nel caso dei danni derivanti da infortuni sul lavoro, da sinistri stradali o da colpa medica con esiti micro/permanenti), talora lasciate alla libera scelta del giudicante.
La redazione di una tabella delle invalidità (bareme) è un’opera complessa, che parte dalla statistica e perviene a esprimere, con un numero percentuale, la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione deve presumersi riverberi sulle attività comuni a ogni individuo.
E’ infatti autorevole e condiviso, in medicina legale, l’insegnamento secondo cui non ha più ragion d’essere l’idea che il danno biologico abbia natura meramente statica; che per danno biologico deve intendersi non la semplice lesione all’integrità psicofisica in sé e per sé, ma piuttosto la conseguenza del pregiudizio stesso sul modo di essere della persona (…). Il danno biologico misurato percentualmente è pertanto la menomazione all’integrità psicofisica della persona la quale esplica una incidenza negativa sulle attività ordinarie intese come aspetti dinamico-relazionali comuni a tutti.
La conclusione è che, quando un bareme medico legale suggerisce per una certa menomazione un grado di invalidità – poniamo – del 50%, questa percentuale indica che l’invalido, a causa della menomazione, sarà teoricamente in grado di svolgere la metà delle ordinarie attività che una persona sana, dello stesso sesso e della stessa età, sarebbe stata in grado di svolgere.
Da quanto esposto derivano tre conseguenze.
1) La prima è che deve essere rettamente inteso il senso del discorrere di danni dinamico-relazionali (ovvero, con formula più arcaica ma più nobile, danni alla vita di relazione), in presenza d’una lesione della salute.
La lesione della salute risarcibile in null’altro consiste, su quel medesimo piano, che nella compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane tutte, nessuna esclusa: dal fare, all’essere, all’apparire.
Non, dunque, che il danno alla salute comprenda pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno dinamico-relazionale. Se non avesse conseguenze dinamico-relazionali, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.
2) La seconda conseguenza è che l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è affatto un danno diverso dal danno biologico.
Una lesione della salute può avere le conseguenze dannose più diverse, ma tutte inquadrabili teoricamente in due gruppi:
– conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità
– conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili.
Tanto le prime che le seconde conseguenze costituiscono un danno non patrimoniale; la liquidazione delle prime tuttavia presuppone la mera dimostrazione dell’esistenza dell’invalidità; la liquidazione delle seconde esige la prova concreta dell’effettivo (e maggior) pregiudizio sofferto.
Pertanto la perduta possibilità di continuare a svolgere una qualsiasi attività, in conseguenza di una lesione della salute, non esce dall’alternativa: o è una conseguenza normale del danno (cioè indefettibile per tutti i soggetti che abbiano patito una menomazione identica), ed allora si terrà per pagata con la liquidazione del danno biologico; ovvero è una conseguenza peculiare, ed allora dovrà essere risarcita, adeguatamente aumentando la stima del danno biologico (c.d. personalizzazione).
Dunque le conseguenze della menomazione, sul piano della loro incidenza sulla vita quotidiana e sugli aspetti “dinamico-relazionali”, che sono generali e inevitabili per tutti coloro che abbiano patito il medesimo tipo di lesione, non giustificano alcun aumento del risarcimento di base previsto per il danno non patrimoniale.
Al contrario, le conseguenze della menomazione che non sono generali e inevitabili per tutti coloro che abbiano patito quel tipo di lesione, ma sono state patite solo dal singolo danneggiato nel caso specifico, a causa delle peculiarità del caso concreto, giustificano un aumento del risarcimento di base del danno biologico.
Ma lo giustificano non perché abbiano inciso su “aspetti dinamico-relazionali”: non rileva infatti quale aspetto della vita della vittima sia stato compromesso, ai fini della personalizzazione del risarcimento; rileva, invece, che quella/quelle conseguenza/e sia straordinaria e non ordinaria, perché solo in tal caso essa non sarà ricompresa nel pregiudizio espresso dal grado percentuale di invalidità permanente, consentendo al giudice di procedere alla relativa personalizzazione in sede di liquidazione.
Soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione.
3) La terza conseguenza, di natura processuale, è che le circostanze di fatto che giustificano la personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale integrano un fatto costitutivo della pretesa, e devono essere allegate in modo circostanziato e provate dall’attore (ovviamente con ogni mezzo di prova, e quindi anche attraverso l’allegazione del notorio, delle massime di comune esperienza e delle presunzioni semplici, senza potersi, peraltro, risolvere in mere enunciazioni generiche, astratte o ipotetiche).
Cassazione civile sez. III, 27/03/2018 n. 7513