di Stefania Peveraro
Con il recupero delle borse e soprattutto dei prezzi dei bond, agevoltato dalla politica monetaria espansiva della Bce, le famiglie italiane hanno ridotto del 5% la quota della loro ricchezza allocata in depositi e risparmio postale. Il dato emerge confrontando i numeri contenuti nella relazione Consob sull’anno 2016 (presentata ieri a Milano) con quelli diffusi l’anno scorso. Va notato che la stessa Commissione sottolinea comunque che dal 2007 a oggi le famiglie hanno aumentato la quota di ricchezza detenuta in liquidità e hanno quindi allontanato risorse dai mercati finanziari.
Nel 2015 infatti la quota della ricchezza delle famiglie allocata in depositi e risparmio postale era il 52%, mentre l’anno scorso è scesa al 47%. Certo, però, si tratta di una percentuale ben al di sopra del 38% registrato nel 2007, prima dello scoppio della crisi finanziaria internazionale. La quota investita in azioni è a sua volta scesa al 5% dal 6% del 2015 (e dal 10% del 2007), ma gli investimenti in titoli di Stato sono invece saliti all’11% dal 10% del 2015 (pur restando ancora sotto il 13% del 2007), come anche gli investimenti in altre obbligazioni, saliti al 13% dal 12% del 2015 (ma ancora sotto il 15% del 2007).
Dal periodico sondaggio condotto da Consob tra i risparmiatori risulta che gli elementi-chiave che incoraggiano la partecipazione ai mercati finanziari sono la possibilità di acquistare prodotti con capitale e/o rendimento minimo garantito e la fiducia negli intermediari (come riferito rispettivamente dal 72% e dal 53% degli investitori), mentre l’assenza di risparmi da investire (quasi 60% delle risposte), il timore di incorrere in perdite in conto capitale (20%), l’esposizione agli andamenti di mercato (15%) e la mancanza di fiducia negli intermediari (più del 10%) sono i principali fattori che hanno disincentivato l’investimento.
Un appunto va fatto sul tema delle obbligazioni bancarie. Le emissioni di prodotti finanziari diversi dalle azioni da parte di banche si sono sostanzialmente dimezzate rispetto al 2015, sia con riferimento ai volumi (quasi 22 miliardi di euro nel 2016 a fronte dei 41 miliardi dell’anno precedente) sia considerando il numero di titoli offerti (1.270 contro 2.440). Il commento di Consob è che gli emittenti bancari (e gli investitori) si sono orientati verso forme di raccolta (e investimento) diverse dal tradizionale strumento obbligazionario anche per via dei bassi tassi di mercato e della sopravvenuta ammissibilità di tali strumenti alle procedure di bail-in in caso di crisi dell’ente creditizio emittente. Analoghe dinamiche caratterizzano anche il segmento degli strumenti finanziari derivati cartolarizzati (certificate e covered warrant).
Fonte: