Pagine a cura di Antonio Ciccia Messina
Gran bazar delle famiglie e simili. Ci sono quelle formate da due persone di sesso diverso, quelle formate da persone dello stesso sesso. Ci sono le famiglie basate sul matrimonio (tra eterosessuali), quelle basate su una unione civile (tra omosessuali), e, poi, ci sono le convivenze. Queste ultime, anche se definite di «fatto», ormai seguono regole giuridiche e possono essere accompagnate o meno da un contratto di convivenza.
La legge Cirinnà è stata definitivamente approvata e si compone di due pezzi: quello relativo alle unioni civili e quello delle convivenze di fatto.
Quindi gli eterosessuali hanno due opzioni: convivenza (con o senza contratto) oppure matrimonio; anche gli omosessuali hanno due opzioni: convivenza (con o senza contratto) oppure unione civile.
Unione civile e matrimonio sono gli istituti formali, anche se con alcune differenze. Unione civile e matrimonio, quanto a disciplina, sono uguali tranne che per l’obbligo di fedeltà (c’è nel matrimonio, non c’è nell’unione civile) e per una maggiore snellezza delle procedure per lo scioglimento.
Per la filiazione, considerate le aperture della giurisprudenza sulla adozione del figlio del partner, anche per le unioni civili è aperta la strada alla genitorialità. In sostanza le esclusioni alla equiparazione di soggetti coniugati e di soggetti uniti civilmente sono ridotte al lumicino.
Anche l’esclusione dell’obbligo di fedeltà, in realtà, potrebbe avere un effetto trascinamento al contrario e cioè disinnescare gli effetti negativi dell’inosservanza di tale dovere nel matrimonio (così da allineare anche su questo aspetto unioni e matrimoni).
Passando alle convivenze, va rilevato che seppure denominate «di fatto», questi rapporti hanno ricevuto una disciplina «di diritto», articolata su due piani. Il primo è un livello minimale: la legge assegna alcuni diritti di base, mettendoli a disposizione delle parti, le quali possono o meno avvalersene. In realtà la novità della legge è che non si possono mettere in discussione questi diritti minimi, che vengono codificati e devono essere riconosciuti, se uno intende esercitarli.
Non c’è alcuna imposizione, e tutto è rimesso alla volontà dei conviventi. Anche l’obbligo di fornire gli alimenti, in caso di cessazione della convivenza, è molto ridimensionato e, comunque, va richiesto al giudice. Da questo livello base si differenzia il secondo tipo di convivenza e cioè quello formalizzato con un contratto sugli aspetti patrimoniali.
Se non c’è il contratto, eventuali discussioni sugli aspetti patrimoniali dovranno essere risolte davanti al giudice, solo sulla base della applicazione dei principi generali (obbligo di assistenza morale e materiale).
Se i conviventi, invece, stipulano un contratto, allora mettono nero su bianco le condizioni economiche della loro vita di coppia. Come dire il legame affettivo è una cosa, i rapporti economici sono un’altra.
Ma non c’è alcun obbligo di stipulare un contratto e le parti possono ritenere più opportuno lasciare indefiniti certi aspetti. Anzi questa genericità potrebbe aprire la porta a contenziosi basati sulla effettiva sussistenza di una convivenza.
Il contratto è aperto alle clausole che le parti ritengono di inserire e, al contrario della convivenza, deve seguire stringenti formalità. Se si vuole dare uno sguardo d’insieme alla legge, si potrebbe dire che si tratta di una manovra volta a dare una risposta ai diritti individuali.
Per le unioni civili questo è evidente: la base costituzionale delle unioni è l’articolo 2 e cioè l’articolo che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo. Il dato di partenza, dunque, non è la formazione sociale, ma l’individuo che si realizza nella formazione sociale.
Peraltro il riconoscimento di un maggior spazio d’azione ai diritti del singolo non può travolgere i doveri di solidarietà economica e sociale, posti a carico dell’individuo dallo stesso articolo 2. Questo pezzo dell’articolo 2 (quello sui doveri), non sempre ricordato con la sottolineatura che merita, giustifica alcuni limiti alla libertà individuale, che pure si riscontrano nella disciplina delle unioni e delle convivenze.
Il rapporto di coppia produce effetti che hanno una rilevanza sociale, che non possono essere lasciati alla sola determinazione negoziale e contrattuale.
A prescindere, ora, da un inquadramento costituzionale, che può risultare solamente simbolico, la legge introduce nuovi istituti, pronti ai nastri di partenza. Le unioni civili acquistano efficacia a decorrere dall’entrata in vigore della legge. La stessa decorrenza vale per la disciplina delle convivenze di fatto.
Due persone dello stesso sesso potranno andare in comune per fare la dichiarazione di rito. Senza questa dichiarazione non ci può essere l’unione civile. Per le convivenze non è necessario un adempimento formale, se non la registrazione anagrafica per attestare la coabitazione. Quindi se questo requisito è già stato realizzato non ci sono adempimenti necessari. Bisogna, anzi, porsi il problema di come far risultare che due soggetti con medesima residenza non intendono costituire alcuna convivenza.
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