Grande interesse riscuote, per le valutazioni di un Servizio Sanitario Nazionale, l’indicatore mortalità riconducibile ai servizi sanitari (amenable mortality), ovvero quei decessi prematuri che non dovrebbero verificarsi in presenza di cure efficaci e tempestive e per i quali esistono interventi diagnostico-terapeutici di provata efficacia.

Questo indicatore permette di segnalare le situazioni più a rischio, di studiare possibili interventi correttivi e verificarne, nel tempo, il successo.

L’OCSE ha introdotto la mortalità riconducibile ai servizi sanitari nel core di misure per la valutazione della performance dei servizi sanitari dei Paesi aderenti e recenti studi statunitensi, italiani, spagnoli, ungheresi e israeliani hanno analizzato questo indicatore per valutarne l’efficacia e l’equità a livello nazionale e subnazionale.

Da uno studio OCSE risalente ad alcuni anni fa è emerso che, nel 2007, i tassi di amenable mortality di 31 Paesi variavano da 60 a 200 per 100.000 abitanti: i Paesi dell’Europa dell’Est e il Messico presentavano i tassi più alti, mentre i valori più bassi si registravano in Francia, Islanda, Italia e Giappone.

In uno studio pubblicato nel 2011, Nolte e McKee hanno mostrato come la mortalità riconducibile ai servizi sanitari contribuisca fortemente alla quota di decessi prematuri (0-74 anni) in 16 Paesi ad alto reddito. Nel biennio 2006-2007, i livelli più bassi di amenable mortality erano in Francia (55,0 decessi per 100.000), seguita da Australia (56,9 decessi per 100.000) e Italia (59,9 decessi per 100.000). I tassi più alti sono stati, invece, osservati negli Stati Uniti (95,5 decessi per 100.000), seguiti da Regno Unito (82,5 decessi per 100.000) e Danimarca (80,1 decessi per 100.000).

Nolte e McKee hanno, inoltre, evidenziato un netto declino dei tassi di amenable mortality nel decennio 1997-2007, anche se con livelli di variazione diversi da Paese a Paese, più evidenti in Irlanda (-42,1%), Austria (-38,2%) e Finlandia (-36,5%) e meno marcati negli Stati Uniti (-20,5%), in Grecia (-21,2%) e in Giappone (-24,9%). L’Italia si poneva in una situazione intermedia, con una riduzione da 88,8 (per 100.000) nel 1997-1998 a 59,9 (per 100.000) nel 2006-2007 (-32,5%).

Uno studio (a cura di: Prof.ssa Maria Michela Gianino, Dott. Jacopo Lenzi, Dott.ssa Aida Muça, Prof.ssa Maria Pia Fantini, Prof. Gianfranco Damiani) ha aggiornato le stime di amenable mortality a livello internazionale per valutare, con i più recenti dati a disposizione, la situazione dell’Italia nel panorama dei Paesi ad alto reddito afferenti all’OCSE.

Materiali e metodi
È stato condotto uno studio descrittivo con l’ausilio di dati secondari di 32 Paesi OCSE nel periodo 2000-2012. I dati di mortalità e di popolazione provengono dalla banca dati di mortalità dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (3), in cui le cause di morte sono codificate con il sistema ICD-9 o ICD-10. Per ogni Paese, i tassi di amenable mortality (per 100.000) sono stati standardizzati per età prendendo a riferimento la popolazione OCSE del 2010. È stata, quindi, calcolata la variazione percentuale tra i tassi medi annui standardizzati riferiti ai bienni 2000-2001 e 2011-2012. Tutte le analisi sono state stratificate per le due principali cause di amenable mortality identificate da Nolte e McKee: tumori maligni e malattie cardiovascolari.

Risultati
I risultati dello studio sono riportati in Tabella 1.
L’Italia è uno dei Paesi in cui la mortalità riconducibile ai servizi sanitari è diminuita in maniera minore tra il 2000-2001 e il 2011-2012 (-27,4%), preceduta da Messico, Stati Uniti, Giappone, Cile, Canada, Slovacchia, Grecia e Francia. La ragione di questa blanda diminuzione potrebbe dipendere dal fatto che, nel 2000-2001, l’Italia presentava valori che erano tra i più bassi e aveva, quindi, un ridotto margine di miglioramento rispetto ad altri Paesi. È bene notare, infine, come tutti i Paesi OCSE abbiano visto diminuire i tassi di amenable mortality riconducibile a tumori e malattie cardiovascolari. La riduzione percentuale è più marcata per le malattie cardiovascolari rispetto ai tumori, con la sola eccezione del Messico.

A livello internazionale, dal 2000 al 2012, si è assistito ad una sostanziale diminuzione del tasso di amenable mortality. Nonostante questo dato ampiamente positivo, i risultati relativi al biennio 2011-2012 mostrano che i Paesi dell’Europa dell’Est e dell’America latina hanno una performance dei servizi sanitari notevolmente peggiore rispetto agli altri Paesi OCSE. Insieme a Francia, Islanda, Giappone e Spagna, l’Italia è tra le 5 Nazioni che, nel 2000-2001, mostrano i livelli più bassi di mortalità. Questo dato si riconferma anche nel 2011- 2012, in cui l’Italia occupa l’8° posizione tra i Paesi più virtuosi, preceduta da Francia, Australia, Lussemburgo, Spagna, Islanda, Svezia e Norvegia.

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