di Lucio Berno
Almeno così sembra leggendo la sentenza della Cassazione n. 18127/2016 del 2 maggio scorso sotto la Presidenza di Antonio Prestipino e come relatore nientemeno che il nuovo presidente dell’ANM Piercamillo Davigo.
Con la sentenza in esame, la Cassazione ha ritenuto di ravvisare il reato di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni” a carico di chi, per restituire il mezzo precedentemente rimosso, richieda il pagamento delle spese sostenute.
Andando però per ordine, ci troviamo difronte ad una situazione di questo genere.
Un’azienda sanitaria intende liberare l’area interna all’ospedale da tutti i mezzi privati “in sosta non regolamentare” affidando l’incarico ad una società terza la quale provvede puntualmente ad eseguire il contratto rimuovendo i mezzi ritenendo che si trattasse di una operazione del tutto legittima. Così, infatti, l’azienda sanitaria si era sempre comportata precedentemente incaricando i propri dipendenti di rimuovere i mezzi in questione. E l’operazione avveniva senza l’accertamento preventivo di una qualche violazione da parte di agenti di polizia della strada.
La Suprema Corte così sentenzia:
“Quanto all’effettiva rimozione dei veicoli nella imputazione il P.M. ha contestato il reato di cui all’art. 393 cod. pen.
Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone
Sull’assunto che la rimozione a cura dell’ente proprietario poteva essere giustificata ai sensi dell’art. 2044 cod. civ. per legittima difesa della proprietà, attesa la proporzionalità fra la violazione della proprietà stessa e la rimozione del veicolo.
Tuttavia, la facoltà di rimuovere o far rimuovere i veicoli non implica anche il diritto di ritenzione fino al pagamento delle relative spese.
Correttamente quindi il P.M. ricorrente ha contestato il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni nella pretesa di pagamento per restituire il veicolo rimosso.