Salve le pensioni fino a 1.500 euro, fuori dalla rivalutazione gli onorevoli. Alle prime pensioni, infatti, la nuova perequazione non fa tagli riconoscendola in misura piena (100% Istat) per il passato, per il presente e per il futuro. Gli onorevoli, invece, e quanti intascano vitalizi per una carica elettiva, dovranno includere questa rendita nel calcolo del limite della pensione ai fini del riconoscimento dell’indicizzazione che, in ogni caso, spetta fino a 3 mila euro (e i vitalizi, in genere, sono d’importo superiore). A stabilirlo è il dl n. 65/2015, in vigore da ieri, in G.U. n. 116/2015. Per le altre pensioni è rivoluzione: sarà recuperato il biennio 2012-2013, ma per il biennio 2014-2015 si restituirà parte della rivalutazione già attribuita.
La nuova perequazione. È l’art. 1 a disciplinare la nuova perequazione, con queste novità: a) riformulazione delle misure di perequazione per gli anni 2012-2013; b) estensione della perequazione 2012-2013 al biennio 2014-2015, ma in misura ridotta del 20% per i trattamenti oltre tre volte il minimo Inps; c) estensione della perequazione 2012-2013 a decorrere dal 2016, ma in misura ridotta del 50% per i trattamenti oltre tre volte il minimo Inps; d) inclusione dei vitalizi derivanti da uffici elettivi nel calcolo dell’importo dei trattamenti ai fini della perequazione. Le novità sono sintetizzate in tabella, con un confronto tra nuove norme (colonna «dl Renzi») e regole vigenti (colonna «normativa»). L’operazione, in sintesi, appare una redistribuzione negli anni: al riconoscimento della perequazione per il biennio 2012-2013 (in virtù della Corte costituzionale) è contrapposta la riduzione della perequazione per il biennio 2014-2015 e dal 2016. Un esempio. Sulla pensione di 1.600 euro (superiore a tre volte il minimo) non c’è stata rivalutazione per il biennio 2012-2013 in virtù della norma dichiarata illegittima; per il biennio 2014-2015, invece, la pensione ha ricevuto una rivalutazione del 95% dell’Istat (cioè dell’1,05% nel 2014 e dell’1,14% nel 2015). In seguito al dl n. 56/2015 la pensione avrà ora diritto a una rivalutazione per il biennio 2012-2013 dell’1,08% (anno 2012) e dell’1,20% (anno 2013), ma dovrà rinunciare (se così sarà, probabilmente farà l’Inps i conguagli) allo 0,97% di rivalutazione per il 2014 (scende a 0,08% rispetto all’1,05% ottenuto) e all’1,05% per il 2015 (scende a 0,09% rispetto all’1,14% ottenuto).
Risorse per ammortizzatori in deroga. Gli articoli 2 e 3 prevedono l’ennesimo stanziamento di risorse a favore degli ammortizzatori in deroga. L’art. 2 destina 1 miliardo di euro per l’anno 2015 attingendo le risorse al fondo Jobs act istituito dalla legge di stabilità del 2015 (legge n. 190/2014). L’art. 3 inoltre stanzia 5 milioni di euro a favore della cig in deroga (cassa integrazione guadagni) per il settore della pesca.
Risorse ai contratti di solidarietà. L’art. 4, ancora, dispone lo stanziamento di ulteriori 70 milioni di euro a favore dei contratti di solidarietà di tipo B, quelli cioè che possono essere sottoscritti da imprese escluse dalla cassa integrazione (imprese alberghiere e termali pubbliche e private; aziende artigiane; imprese commerciali fino a 50 dipendenti ecc.).
Da giugno l’Inps paga il 1°. L’art. 6 dispone che, dal prossimo 1° giugno, i trattamenti pensionistici, gli assegni, le pensioni e le indennità di accompagnamento erogate agli invalidi civili, nonché le rendite vitalizie Inail erogate dall’Inps saranno messi a pagamento il primo giorno di ciascun mese. Nel caso il giorno 1 sia un giorno festivo o non bancabile, l’erogazione slitta al giorno successivo, fatta eccezione per il mese di gennaio 2016 in cui il pagamento avverrà il secondo giorno bancabile. A decorrere dall’anno 2017, stabilisce infine l’art. 6, i pagamenti verranno effettuati il secondo giorno bancabile di ciascun mese.
Il bluff sulla rivalutazione. Il «sistema contributivo» prevede che la pensione sia determinata applicando l’aliquota fissata dalla legge sul totale contributi versati durante la vita lavorativa. Questo «totale» di contributi si chiama «montante contributivo» ed è soggetto a rivalutazione annuale, al tasso pari alla variazione quinquennale del Pil. A ottobre 2014 l’Istat comunicò che il tasso, per l’anno 2013 (per andare in pensione nel 2015) era risultato per la prima volta di segno riduttivo dal 1996: 0,998073%, inferiore a «1» che garantisce l’invariabilità. Ciò avrebbe significato che il montante, anziché rivalutarsi, si sarebbe svalutato. L’Inps «congelò» la svalutazione, sostenendo che la legge n. 335/1995 non prevede l’applicazione di un tasso negativo. Ora la questione viene «sistemata» con una norma: l’art. 5 stabilisce «il coefficiente di rivalutazione ( ) non può essere inferiore a 1, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive.» La soluzione, però, non «neutralizza» la rivalutazione negativa (come ha fatto l’Inps), ma la lascia ricadere sui lavoratori l’effetto negativo del Pil. Come? Semplicemente «spostandola» nel tempo, quando il Pil risulterà positivo e i montanti verranno rivalutati, ma in misura inferiore (per recuperare il negativo degli anni precedenti).
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