Sono ben 21 le tipologie di famiglia italiane e hanno esigenze di welfare molto diverse tra loro, una maggiore sensibilità rispetto alla percezione dei grandi rischi, e, nonostante una situazione economica complessa, hanno metabolizzato la crisi e imparato a reagire.
L’88,3% delle famiglie ha cercato di fare il meglio che poteva col reddito complessivo a sua disposizione, il 43,9% ha svolto lavori e lavoretti aggiuntivi per incrementare le disponibilità familiari, mentre l’87,2% delle famiglie ha imparato a consumare meglio, mentre il 51,1% ha risparmiato per poter restare “liquido” in vista di possibili imprevisti o per l’incertezza circa gli eventuali investimenti da fare. Ben l’80,2% ammette di essersi abituata a vivere in maniera più sobria.
Questi alcuni dei dati contenuti nella seconda edizione del Rapporto sul Neo-Welfare del Gruppo Assimoco “Un NeoWelfare per la famiglia 2.0. Cooperare e proteggere i bisogni della società reale”, presentato oggi a Milano, al Circolo della stampa.
“Quest’anno abbiamo scelto di approfondire l’argomento attraverso un’analisi della famiglia attuale. L’obiettivo è di coglierne i cambiamenti in corso e l’emergere di nuovi e più articolati rischi da cui proteggersi. Pensiamo alla famiglia allargata, che spesso unisce componenti di nuclei che si sono scissi da unioni precedenti, che magari ne ha di propri e che, dal Nord al Sud dell’Italia, talvolta è formata da un solo genitore, oppure vive senza formalizzare il proprio status attraverso l’istituto del matrimonio”, ha spiegato Ruggero Frecchiami, Direttore Generale del Gruppo Assimoco.
Nel Rapporto (che ha preso in esame un campione di 1500 capifamiglia) è emerso che il processo di metabolizzazione positiva della crisi sta inducendo anche una maggiore sensibilità verso i grandi rischi che possono investire la famiglia, tanto più che la protezione del sistema pubblico e quella derivante dalla tradizionale solidarietà familiare non forniscono ormai più un livello si sicurezza sufficiente. L’esigenza percepita di una maggiore copertura dei grandi rischi per la famiglia riguarda più di metà degli intervistati: il 55,9%per una grave malattia del capofamiglia, il 53,9% per gli infortuni del medesimo, il 53,3% per l’invalidità/non autosufficienza permanente sempre di quest’ultimo. Soprattutto, visto la quota relativamente limitata dei già assicurati (tra il 18 e il 23%), è interessante verificare come la consapevolezza di doversi assicurare ex-novo o di doversi assicurare di più rispetto a oggi tocchi complessivamente percentuali che si aggirano attorno all’80% degli intervistati.
“La famiglia viene citata sin troppo spesso come destinatario fondamentale delle politiche sociali e dei relativi servizi, mentre le risorse dedicate sono scarse e nei fatti si prendono in considerazione i bisogni delle singole persone, con le conseguenti difficoltà sul piano della vita quotidiana delle diverse tipologie di convivenza, inoltre, la famiglia resta pur sempre un soggetto economico e un soggetto sociale-chiave, sul piano della produzione del reddito, delle scelte di consumo, della capacità di risparmio e di investimento ma anche sul piano della solidarietà e dell’integrazione sociale”, ha specificato Nadio Delai, Presidente di Ermeneia.
Come lo scorso anno il Rapporto, oltre ad analizzare i dati della popolazione italiana, intende dare un contributo concreto e fattivo in materia di welfare, raccontando casi virtuosi a livello nazionale e internazionale. Una sezione del Rapporto analizza e confronta la situazione italiana con quella danese. La Danimarca, infatti, è indicata dall’Onu come uno degli Stati più felici al mondo (il terzo dopo Svizzera e Islanda secondo il World Happiness Report) cui prendere spunto sia per superare la crisi economica, sia per pianificare sistemi di welfare che possano favorire un equilibrio e un benessere diffuso. Il Gruppo Assimoco ha quindi chiesto a Meik Wiking, Ceo di Happiness Research Institute di Copenhagen, di collaborare alla stesura del Rapporto 2015 fornendo spunti di riflessione e suggerimenti pratici per migliorare la situazione italiana (Paese che quest’anno si colloca al 50esimo posto su 158 Paesi nella classifica World Happiness Report messa a punto dalla University of British Columbia, dal Canadian Institute for Advanced Research, dalla London School of Economics e dalla Columbia University).
Una delle principali ragioni per cui la Danimarca risulta spesso ai primi posti tra i diversi Paesi è costituita da un senso condiviso di sicurezza. Servizi come la sanità pubblica gratuita e il sussidio di disoccupazione (sempre pubblico) riducono incertezze e preoccupazioni e in tal senso si può affermare che i vantaggi del modello di welfare nazionale contribuiscono di molto a prevenire l’infelicità.
“È anche necessario ricordare che il raggiungimento di un buon livello di benessere si raggiunge anche attraverso la cooperazione che si instaura tra il pubblico e quello privato il tutto accompagnato dal ruolo svolto dal sistema assicurativo”, ha spiegato il Ceo di The Happiness Research Institute.
In Danimarca tutti i cittadini hanno accesso a un’assistenza sanitaria di qualità, esistono istituzioni pubbliche per la tutela delle fasce più deboli e risulta praticato il diritto all’assistenza economica nei confronti dell’eventuale disoccupazione nell’ambito del mercato del lavoro flessibile e pur tuttavia sicuro. “Perciò i danesi hanno meno preoccupazioni nella vita quotidiana rispetto alla gran parte dei cittadini di altri Paesi, con il vantaggio dunque di disporre di una solida premessa per raggiungere un elevato indice di felicità”, ha spiegato Wiking nel Rapporto Assimoco “Un Neo-Welfare per la famiglia 2.0. Cooperare e proteggere i bisogni della società reale”.
Tra i suggerimenti e i consigli pratici per fare in modo che anche in Italia possa esistere un sistema di welfare efficiente, il Ceo dell’Istituto Danese ha sottolineato che un elemento chiave per la costruzione di un modello di welfare che riduca i rischi è stabilire il modo in cui finanziare tale modello. Inoltre, se l’Italia aspira ad accrescere la partecipazione femminile al mercato del lavoro deve ottimizzare le possibilità di assistenza all’infanzia. I datori di lavoro possono pensare a come promuovere l’equilibrio tra vita lavorativa e familiare, al fine di permettere a entrambi i genitori di avere un impiego e di sostenere le famiglie monogenitoriali.