L’eredità della Giornata nazionale della previdenza? La necessità di ripensare il meccanismo di calcolo contributivo dell’assegno pensionistico, mediante «interventi urgenti da parte dello Stato per rendere maggiormente adeguato il sistema» per le Casse nate grazie al decreto legislativo 103/1996.
Ma, al termine dell’evento (promosso da Itinerari previdenziali) tenutosi a Napoli in piazza Plebiscito, circa due settimane fa, rimane l’amarezza per essere «stati ignorati dalla politica. Il sottosegretario al Lavoro, Massimo Cassano, invitato, ha disertato l’incontro», che vedeva allo stesso tavolo i vertici di quattro istituti di «nuova generazione». Considerazioni fatte da Valerio Bignami, presidente dell’Eppi, Ente di previdenza dei periti industriali e dei periti industriali laureati, seduto al fianco dei colleghi alla guida di altre Casse (psicologi, infermieri e biologi), nel corso della tavola rotonda della mattina del 14 maggio, e adesso pronto a soffermarsi su alcuni argomenti emersi, nel corso del dibattito. Rimangono, per ora, senza risposta le «domande che avrei voluto fare al sottosegretario», qualora fosse intervenuto: innanzitutto, «avrei voluto mi spiegasse perché io, perito industriale che non ricevo un euro per la mia pensione dallo Stato e con le mie tasse contribuisco a pagare le pensioni di migliaia di cittadini che ricevono molto di più di quello che hanno versato, non posso riconoscere ai miei iscritti una rivalutazione maggiore del montante rispetto alla media quinquennale del pil nominale, utilizzando le risorse dei periti, senza alcun contributo dello Stato». E il secondo quesito che il numero uno dell’Eppi avrebbe posto all’esponente istituzionale sarebbe stato per quale ragione «io, perito industriale che svolgo una prestazione identica a quella di un geometra, o ingegnere, o architetto, per l’amministrazione pubblica, devo applicare un contributo integrativo del 2% e i miei colleghi del 4%?».
Sulla scia di queste riflessioni, Bignami rammenta una frase particolarmente dura, espressa durante uno dei suoi interventi, ossia «siamo in guerra», parole, sottolinea, tali da evidenziare che «sono anni e anni che cerchiamo di ragionare con i vari governi che si sono avvicendati. Tutti, indistintamente, hanno ignorato le nostre legittime richieste, ci impediscono addirittura di utilizzare i nostri soldi», mentre secondo il presidente «l’unica cosa che i vari ministri e sottosegretari sanno fare è incolpare i funzionari dei vari dicasteri, che non fanno altro che applicare le leggi che il mondo della politica ha prodotto e, anche laddove si riscontrano palesi ingiustizie, non riesce a cambiarle». Ma non è il caso di arrendersi, al contrario di trovare «altre strade da percorrere, ad esempio le vie giudiziarie», nella consapevolezza che «quando si arriva a ciò significa che abbiamo perso tutti», tuttavia «non abbiamo alternative».
Come esposto in precedenza, i riflettori di chi ha in mano le redini di enti previdenziali che, costituitisi nel 1996, calcolano le prestazioni pensionistiche con il metodo contributivo puro, si sono, appunto, soffermati sulle caratteristiche di tale meccanismo: i limiti sono ben noti e riguardano l’adeguatezza della pensione. «Non vorrei», sottolinea Bignami, «che per accorgersi che qualcosa va corretto, ci mettiamo lo stesso tempo che abbiamo impiegato per capire l’insostenibilità del sistema retributivo con milioni di pensionati che ricevono molto più di quello che hanno versato nella vita lavorativa». Correzioni possibili? Fra quelle che Bignami segnala, almeno due avrebbero significativi effetti sull’assegno che i periti industriali andrebbero a percepire: la rivalutazione dei montanti individuali secondo i rendimenti reali, assicurando comunque un rendimento minimo garantito «e non con l’assurda regola della rivalutazione nella misura non superiore alla media quinquennale del pil», nonché la possibilità della distribuzione sui montanti individuali dell’intero contributo integrativo, e non solo di una parte di esso.
E, in aggiunta, sarebbe utile una sforbiciata alla burocrazia «a cui sono sottoposti i nostri Enti pur essendo privati. Occorre riconoscere effettivamente maggiore autonomia decisionale e gestionale. Ciò non significa eliminare i controlli, ma renderli chiari, essenziali e sostanziali, non ridondanti», conclude il presidente.