di Luca Gualtieri
Nella prima settimana tutto è andato secondo copione. L’aumento di capitale da 3 miliardi del Monte dei Paschi è partito col botto, con un andamento apparentemente schizofrenico di titoli e diritti, per poi normalizzarsi tra giovedì 28 e venerdì 29 maggio. In realtà questi movimenti erano stati previsti dagli investitori e da Consob, che ormai conoscono bene la dinamica degli aumenti con forte effetto diluitivo come quello messo in pista dal Monte.
Operazioni del genere non sono una novità neppure per Siena, se si pensa che la ricapitalizzazione da 5 miliardi dell’anno scorso era stata ancor più diluitiva.
Questa volta la banca si prepara a emettere 2,56 miliardi di nuove azioni ordinarie contro i 254 milioni di pezzi in circolazione, dunque con un rapporto di opzione di 10 a 1. In termini assoluti il numero fa una certa impressione, ma non bisogna dimenticare che è assai più modesto rispetto al rapporto di 100 a 1 fissato per l’aumento dello scorso anno.
Come sempre avviene in operazioni di questo genere, la maggior parte del valore si trasferisce sul diritto, che nel caso di Mps presentava un valore teorico iniziale di 7,53 euro. Fino a quando il prezzo di mercato si mantiene al di sotto di questa soglia per il socio l’esercizio del diritto risulta il modo più economico per investire sul titolo. Così è stato per tutta la scorsa settimana, visto che ancora venerdì pomeriggio acquistare tramite il diritto era più conveniente che comprare il titolo direttamente sul mercato (circa 1,78 contro 1,83 euro). «Chi è disposto ad aspettare oggi compra le azioni tramite i diritti e in questo modo riesce a pagare circa il 5% in meno.
Comunque la cosa da evidenziare è che chi decide di andare long sul titolo e sul diritto lo fa perché giudica le valutazioni interessanti», ha commentato un gestore all’agenzia MF DowJones. Ciò spiega il deciso rialzo dei diritti, che nelle prime sedute della ricapitalizzazione sono cresciuti assai di più delle azioni della banca senese. Non va dimenticato comunque che qualche azionista si è mosso controcorrente vendendo parte dei diritti per finanziare l’esercizio di quelli rimasti in portafoglio. «Questo comportamento potrebbe mettere pressione sugli stessi diritti, ma anche creare la possibilità di sottoscrivere l’azione a multipli inferiori», ha spiegato Fidentiis in una nota.
Nell’ultima settimana di negoziazione, quella cioè che inizia lunedì 1° giugno, diritti e azioni dovrebbe allinearsi, visto che il prezzo dei primi tenderà a sgonfiarsi rapidamente all’avvicinarsi del termine di lunedì 8. Chi non volesse partecipare all’aumento non dovrà quindi aspettare passivamente quella data, ma farà meglio a monetizzare, vendendo sul mercato i diritti almeno qualche seduta prima. In ogni caso, i soci che decidessero di non sottoscrivere potrebbero veder diluita la propria partecipazione fino 90,9%, livello elevato anche se inferiore al 97,7% dell’ultimo aumento.
Per chi invece volesse diventare azionista del Monte la scelta da compiere è quella tra acquistare le azioni direttamente sul mercato oppure comprare i diritti ed esercitarli in un secondo momento. Ovviamente la seconda strategia risulta più conveniente se l’investimento per acquistare i diritti ed esercitarli è inferiore al prezzo dell’azione.
Se questo è il profilo tecnico dell’operazione, i giudizi degli esperti si mostrano moderatamente ottimismi. «Al di là di quelli che sono i movimenti tecnici del titolo, l’aumento di capitale sarà positivo e andrà a migliorare la banca», commenta l’analista di una primaria casa d’affari. «Si dovrebbe poi affiancare alla ricapitalizzazione la partecipazione alla bad bank per smaltire i crediti in sofferenza. Come ha detto la Bce, l’aumento non basta. Il focus resta sempre su eventuali operazioni di aggregazione», conclude l’esperto. Fidentiis si muove sulla stessa lunghezza d’onda: «A nostro avviso l’aumento rimane un’operazione che mette Mps in un’ottica di rafforzamento della struttura del capitale, consentendole di beneficiare del miglioramento del contesto economico», continuano gli analisti della casa d’affari. Di certo, guardando ai numeri, gli investitori possono vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Le ragioni per essere ottimisti non mancano: alla fine del primo trimestre ad esempio Mps è tornata al profitto per la prima volta dopo tre anni e dopo perdite cumulate per oltre 10 miliardi di euro. La banca ha infatti registrato un utile netto di 72,6 milioni, battendo le stime degli analisti. Gli esperti hanno apprezzato particolarmente l’andamento delle commissioni, cresciute del 9,3% a 443 milioni, mentre il margine di interesse si è mantenuto stabile a 612 milioni grazie all’ulteriore riduzione del costo del funding. Ma si può anche guardare al bicchiere mezzo vuoto, focalizzando l’attenzione sull problema della qualità degli attivi, con un costo del rischio ancora elevato, e sull’esposizione verso Nomura, che per effetto del derivato Alexandria a fine marzo è schizzata a 4,69 miliardi.
Chi però crede nell’operazione lanciata lunedì 25 maggio sottolinea che una marcia in più per la banca potrebbe poi arrivare dall’eventuale aggregazione. L’integrazione con un altro istituto è una delle strategie che la Bce ha chiesto esplicitamente al management della banca senese, oltre alla riduzione dei crediti deteriorati. L’ultima indicazione in tal senso è contenuta nella lettera di autorizzazione alla ricapitalizzazione e alla restituzione dei Monti Bond. Sul mercato è ancora molto forte il rumor che accredita Ubi Banca come partner ideale, anche se il gruppo lombardo ha finora negato ogni contatto. (riproduzione riservata)