di Lucia Prete 

 

Il paziente deve limitarsi a provare il rapporto con il medico o con la struttura sanitaria e che l’aggravamento o l’insorgenza di una patologia si trovi in rapporto di causalità con l’intervento stesso. Spetta invece al medico o alla struttura sanitaria la dimostrazione che non vi sia stata negligenza o imperizia del sanitario.

La recentissima sentenza della Cassazione (sez.

III civile, 20 marzo 2015 n. 5590) fissando gli oneri probatori non aderisce all’indirizzo enunciato in alcune sentenze di merito, su tutte tribunale Milano 17 luglio 2014 e 2 dicembre 2014, che hanno definito come extracontrattuale la responsabilità del medico dipendente di una struttura sanitaria sia pubblica che privata sulla base di quanto espresso nella legge Balduzzi.

 

Il dibattito

La formulazione dell’art. 3, comma 1 della legge citata ha riaperto il dibattito sulla natura giuridica da attribuire alla responsabilità sanitaria in campo civile.

Alcune pronunce successive alla sua entrata in vigore hanno sostenuto che a essa non possa attribuirsi alcuna portata innovativa rispetto al precedente unanime e consolidato orientamento della giurisprudenza che qualificava come contrattuale la responsabilità sia della struttura sanitaria (fondandola sul contratto atipico di spedalità), sia del medico suo dipendente (sulla base del rapporto che si crea tra professionista e paziente in virtù del cosiddetto contatto sociale).

 

Il tribunale di Milano

Le sentenze del tribunale di Milano, facendo leva sul tenore letterale del cit. art. 3 e sulle intenzioni del legislatore, hanno, invece, ritenuto che la legge Balduzzi abbia esplicitamente configurato come extracontrattuale la responsabilità dell’operatore sanitario lasciando inalterato il regime giuridico applicabile alla struttura sanitaria, che risponde a titolo contrattuale sia degli inadempimenti a essa direttamente imputabili, sia di quelli riferibili ai suoi dipendenti. L’interpretazione prospettata dai giudici di Milano comporta importanti implicazioni in merito alla prescrizione e all’onere probatorio.

Qualora, infatti, si definisca come extracontrattuale la responsabilità del medico dipendente l’azione di risarcimento del danno si prescrive col decorso di cinque anni dal momento di verificazione dell’evento (termine considerevolmente più breve rispetto ai dieci anni previsti per le ipotesi di responsabilità contrattuale) e sotto il profilo dell’onus probandi spetta al paziente danneggiato (e non all’operatore sanitario) provare l’elemento soggettivo dell’illecito.

I giudici di Milano, nella sentenza del 2 dicembre 2014, hanno anche messo in evidenza come la stessa elaborazione del «fatto-contatto» come fonte di «efficacia obbligatoria di natura contrattuale non sia basata su dei presupposti condivisi unanimemente dai giuristi (che, di volta in volta, hanno fatto ricorso al principio di immedesimazione organica, alla figura del contratto in favore di terzo e, più recentemente, all’art. 1173 cc., che richiama tra le fonti delle obbligazioni ogni atto o fatto idoneo a produrle, e alla legge istitutiva del Sistema sanitario).

 

Ulteriori aspetti

Infine la decisione della Suprema corte ha richiamato un’altra sua pronuncia, la n. 7909/2014, che esclude l’applicabilità della teoria del contatto sociale alla domanda risarcitoria da errato trattamento medico compiuto da un soggetto straniero in quanto il concetto di «contatto sociale» come «fonte di obbligazione» costituisce un principio creato dalla giurisprudenza italiana che non trova riscontro nel diritto internazionale.

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