Tra i casi per i quali ai professionisti è stato richiesto di inviare in urgenza domande di ammissione alla procedura di collaborazione volontaria, quello della sottoscrizione delle polizze Crédit Suisse Bermuda. Nel dicembre 2014 l’Agenzia delle entrate ha notificato centinaia di avvisi di accertamento a contribuenti che nel 2005 avevano sottoscritto polizze Crédit Suisse Bermuda, i cui nomi erano contenuti in liste ed elenchi rinvenuti dalla Guardia di finanza presso la sede italiana della compagnia assicurativa del Liechtenstein del gruppo Crédit Suisse.
Per la prima nel c.d. caso «Crédit Suisse Bermuda» è stato messo in discussione il c.d. differimento d’imposta, caposaldo della fiscalità dei contratti di assicurazione sulla vita in relazione all’esistenza di procure a operare sul fondo interno dedicato delle polizze rilasciate dalla compagnia assicurativa al sottoscrittore delle polizze. L’art. 45, comma 4, del Tuir, prevede che i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione costituiscono reddito per la parte corrispondente alla differenza tra l’ammontare percepito e quello dei premi pagati. Un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione non è produttivo di reddito sino alla decisione del sottoscrittore di procedere al riscatto, totale o parziale della posizione. In tal caso, costituisce reddito il differenziale tra quanto versato e quanto effettivamente percepito.
Tale meccanismo di differimento d’imposta al riscatto assume la denominazione di Tax Deferral. La Guardia di finanza e l’Agenzia delle entrate nell’indagine Crédit Suisse hanno contestato per la prima volta la tenuta di questo meccanismo. E questo in relazione all’influenza del sottoscrittore nelle scelte di gestione del sottostante delle posizioni assicurative. Le polizze emesse da Crédit Suisse Bermuda, a differenza delle polizze emesse dalle compagnie italiane, sono polizze a fondo interno dedicato: i premi raccolti vengono accantonato in «segregated accounts», unità di conto dedicate cioè. Si tratta dunque di polizze a fondo interno dedicato, i cui premi non vengono gestiti «in monte» dalla compagnia, unitamente agli altri premi, ma in modo dedicato. Su tali unità di conto, poteva operare, secondo la ricostruzione della Guardia di finanza e dell’Agenzia delle entrate, il sottoscrittore della polizza, tramite una specifica procura rilasciata dalla compagnia assicurativa. Da tale assunto discende la riqualifica dei contratti così sottoscritti in vere e proprie gestioni patrimoniali, i cui redditi andavano tassati, secondo i verificatori, di anno in anno.
Nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria i professionisti si sono trovati di fronte al dilemma di come tassare i redditi derivanti da tali strumenti. Accedere alla tesi di Guardia di finanza e Agenzia delle entrate emersa nell’ambito delle indagini sulla succursale italiana della compagnia assicurativa del Liechtenstein del gruppo Crédit Suisse parrebbe essere la via più tutelante per i contribuenti. In merito, in assenza delle movimentazioni contabilizzate nel sottostante della polizza, movimentazioni che normalmente non sono nella disponibilità del sottoscrittore, che riceve semplicemente l’estratto con il valore della posizione assicurativa a fine anno, tassare l’incremento del patrimonio, come avviene per una gestione patrimoniale italiana, sembrerebbe essere la via maestra.