di Sergio Sorgi vicepresidente Progetica
La nuova Inps vuole cambiare il rapporto con i propri utenti, che non sono codici ma persone. Il presidente Inps sta ragionando a tutto tondo e in questa luce vanno lette le proposte di reddito di cittadinanza per i 55-65enni e l’idea di rendere flessibile l’uscita dalle pensioni per aiutare coloro che potrebbero trovarsi fuori dal mercato del lavoro in età troppo giovani per avere diritto alla pensione.
Uno dei temi più interessanti del nuovo corso riguarda la comunicazione agli utenti sulla futura pensione, che ogni anno era promessa e poi rimandata. Ora, da maggio di quest’anno, la comunicazione sarà disponibile, gradualmente, sul sito Inps e accessibile tramite il consueto pin.
L’iniziativa, che si chiama La mia pensione, è di indubbio valore e meritoria ma affrontare il tema del futuro non è facile. In particolare, in Italia le ultime riforme pensionistiche hanno reso sia l’età che la misura dell’importo futuro incerti, legandoli a variabili lavorative, finanziarie e demografiche. La prima variabile è connessa a chi lavora: in un sistema che basa l’importo della pensione sui contributi versati, infatti, i buchi contributivi e la quantità dei contributi versati, dovuti alla carriera, cambiano radicalmente la pensione che avremo. Vi sono poi variabili esterne: i contributi che noi versiamo infatti si rivalutano in base al pil; vi è infine il tema dell’allungamento della speranza di vita: qui, se l’attesa di vita cresce l’età pensionabile si adegua e si sposta più in avanti (ma non accade il contrario se la vita media si accorcia), e di nuovo diminuisce la misura degli importi.
Le critiche a La mia pensione non mancano. In particolare, i timori sono due: da un lato, alcuni temono che comunicare importi che varieranno possa destabilizzare cittadini non abituati a confrontarsi con l’incerto. Dall’altro, si ritiene che comunicando pensioni più basse di quanto alcuni pensano si incentivi la previdenza complementare, della quale non tutti si fidano. Ora, senza entrare in dettagli tecnici, ci piace pensare che i cittadini siano adulti e che pertanto debbano essere sempre informati, senza fermarsi dinanzi alle possibili conseguenze. È poi chiaro che se la previdenza complementare è necessaria, il tema non sia limitarne l’uso ma forse, come si fa in altri Paesi, regolarne utilizzi e trasparenza per evitare possibili comportamenti predatori.
Tornando però a La mia pensione, la scelta tecnica adottata è stata quella di ragionare sugli importi lordi e non su quelli netti e di evidenziare gli effetti della variazione della carriera e della speranza di vita. Non sarà invece possibile capire di quanto l’importo cambierebbe nel caso in cui il pil non fosse quello ipotizzato. Questo ci sembra critico, perché l’ipotesi utilizzata, basata sulle stime della Ragioneria generale dello Stato, consiste in un pil reale positivo dell’1,5% (rammentiamo che attualmente il pil da applicare per le rivalutazioni pensionistiche è negativo in termini reali).
Si potrà vedere, in questo giornale, quanto pesa in termini di maggiore importo una ipotesi ottimista sul pil. Le domande che però vorremmo fare al presidente Boeri partono da qui ma si spingono anche oltre, nel tentativo di contribuire ulteriormente all’operazione trasparenza.
1) Perché si è scelto di consentire ipotesi sulla carriera futura, che paiono di dubbio fondamento, e non di simulare cosa accadrebbe se il pil italiano continua a non crescere? Non si corre così il rischio di comunicare prestazioni eccessive rispetto a quelle che potremmo percepire?
2) L’educazione all’incertezza è un tema di democrazia e di rispetto dei cittadini, e questo richiede cura. Al di là dell’utile manuale di istruzioni sono previste specifiche attività di educazione previdenziale orientate alla consapevolezza degli utenti?
3) L’anno scorso Inps sembrava orientarsi verso l’inibizione all’utilizzo di simulatori sulla pensione che non fossero coerenti con quanto predisposto dall’Istituto. È una posizione ancora sostenuta? Come si gestirà il confronto con simulazioni basate su ipotesi diverse da quelle ufficiali?
4) In alcuni Paesi si incentivano comportamenti virtuosi adoperando il sistema della premialità, che riconosce il valore pubblico di scelte private che vanno in direzione del bene comune. In Italia il sistema pare invece punitivo: chi riscatta la laurea non ha certezze del diritto futuro, chi entra in un fondo pensione non ne uscirà mai, e lo Stato si riserva il diritto di cambiare le condizioni, i requisiti, i sistemi di calcolo ma non consente scelte diverse ai cittadini. Sono pensabili inversioni di tendenza?
5) La previdenza pubblica italiana è tornata di fatto ad amministrare i contributi individuali: chi lavora tanto e ha un buon reddito sarà un pensionato agiato, chi non lavora con continuità e ha redditi bassi sarà un pensionato povero. Ci sono, dati i vincoli di bilancio, possibili strade per rendere più socialmente equa la previdenza pensionistica italiana?