Contributi «deprezzati» a chi andrà in pensione dal prossimo anno. Il montante contributivo, infatti, invece di rivalutarsi di mezzo punto percentuale (0,5331%, la differenza quinquennale del prodotto interno lordo, il pil), salirà solo dello 0,3394%. La differenza, pari allo 0,1927%, rappresenta il recupero della «svalutazione» dello stesso montante che doveva esserci quest’anno e che è stata rinviata ad anni successivi dal dl n. 65/2015. Premiato, perciò, chi va in pensione quest’anno: beneficia di una rivalutazione maggiorata dei contributi (+ 0,1927%) che non restituirà mai più.
È quanto emerge dalla relazione tecnica al decreto legge 65/2015.
Colpiti i giovani
La questione riguarda il calcolo «contributivo» delle pensioni. Interessa, pertanto, soprattutto i giovani, ossia quanti hanno cominciato a lavorare dal 1° gennaio 1996 e rientrano appieno nel predetto sistema «contributivo»; nonché quanti al 31 dicembre 1995 non hanno 18 anni di contributi, che rientrano nello stesso regime. Ma non sono del tutto esenti i meno giovani, ossia quanti al 31 dicembre 1995 già avevano 18 anni di contributi (e per cui conservano il regime c.d. «retributivo»), perché la riforma Fornero ha esteso anche a loro, sebbene per le sole anzianità dal 1° gennaio 2012, il criterio contributivo.
Il calcolo contributivo della pensione si basa su tre i parametri: la retribuzione, l’aliquota di computo, il coefficiente di trasformazione. Con il lavoro, il dipendente accantona il 33% della retribuzione a titolo di contributi, gli autonomi il 23% e i parasubordinati il 30%. Il continuo accantonamento di contributi, mese dopo mese, anno dopo anno, forma il «montante» che è soggetto a rivalutazione annuale a un il tasso pari alla variazione quinquennale del pil. All’atto del pensionamento, al montante rivalutato è applicato il coefficiente fissato dalla legge che converte quei contributi in pensione.
La crisi affama le pensioni
Il pil non è la variazione dei prezzi Istat (cui invece è agganciata la rivalutazione delle pensioni in godimento), ma riflette la capacità del paese di far girare l’economia (cosa assai difficile in periodo di crisi). Il 27 ottobre scorso l’Istat ha fornito il tasso di rivalutazione dei montanti per il 2013 per chi va in pensione dal 1° gennaio 2015. Per la prima volta dal 1996 il tasso è risultato inferiore a 1 che garantisce l’invariabilità: 0,998073%.
La soluzione del dl pensioni
Ci sarebbe dovuta essere dunque una «svalutazione» dei montanti, cosa che non c’è stata solo perché l’Inps ha congelato in via amministrativa l’operazione. La questione è ora sistemata con una norma: l’art. 5 del dl n. 65/2015, il quale però prevede il «recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive». In particolare, precisa la relazione al dl depositata in parlamento per la conversione, per effetto della modifica, per l’anno 2015 il coefficiente di da applicare è posto pari a 1 in luogo di un valore inferiore a 1 (0,998073); ma nel 2016 il coefficiente che sarebbe risultato pari a 1,005331 è rideterminato in 1,003394, così recuperando la procedura di sterilizzazione del tasso negativo.