Giovanni Pons
La disputa finanziaria per il controllo di Fondiaria-Sai, che si concluse all’inizio dell’anno con l’incorporazione della compagnia della famiglia Ligresti nel gruppo bolognese Unipol, ha ancora dei fuochi d’artificio da far brillare. La magistratura di Milano è scesa in campo ipotizzando il reato di aggiotaggio in quanto la fusione che ha portato alla nascita di UnipolSai era basata su valori distorti. Secondo l’ipotesi di reato per la quale procede il pm di Milano Luigi Orsi, i concambi tra le società sono stati valutati in modo erroneo e artificioso. N e sarebbero derivate significative alterazioni dei prezzi delle azioni e riflessi sul “peso” degli azionisti nella nuova società. L’intervento della procura ha comportato l’iscrizione nel registro degli indagati dell’ad di UnipolSai Carlo Cimbri, dell’ad di Premafin finanziaria Roberto Giay, dell’ex presidente del cda di Milano Assicurazioni e dell’Ania Fabio Cerchiai, e dell’ex presidente del cda di Unipol Assicurazioni Vanes Galanti. E dalle prime indiscrezioni che sono trapelate gli inquirenti stanno puntando i fari sulle ipotesi di manipolazione del mercato continuativa e false comunicazioni relative al bilancio. Inoltre, i finanzieri hanno anche acquisito documentazione nella sede della Consob a Roma. Fin qui la cronaca, doverosa, degli ultimi avvenimenti sulla vicenda, ma per capire bene che cosa sta succedendo occorre fare un passo indietro di almeno due anni e risalire alle motivazioni che
avevano spinto a celebrare le nozze tra la compagnia dei Ligresti e l’Unipol controllata dalle società cooperative. Il punto da cui partire è un innegabile stato di sofferenza della Fonsai che a partire dal 2009 ha mostrato bilanci progressivamente in perdita a causa di una gestione “familiare” della compagnia che tendeva a sottostimare le riserve per far emergere utili che dovevano poi essere distribuiti ai piani superiori e che servivano a finanziare le attività nel campo dell’edilizia cara a Salvatore Ligresti. La Fonsai aveva però un asso nella manica: fin dagli anni ’80 poteva contare sull’ombrello protettivo di Mediobanca che, insieme alle Generali, la considerava un gioiello da preservare e da cui estrarre buoni profitti e benefici grazie all’utilizzo del suo portafoglio per acquistare partecipazioni nelle principali società quotate a seconda delle esigenze del dominus della finanza Enrico Cuccia. Salvatore Ligresti non a caso era stato soprannominato mister 5%, appunto per le numerose piccole partecipazioni che aveva acquisito nel salotto buono della finanza: il 4% di Mediobanca, il 5% di Rcs, il 5% di Gemina, di Pirelli, fino al salvataggio dell’Alitalia richiesto personalmente da Berlusconi. Mediobanca aveva anche favorito la fusione tra Sai e Fondiaria quando quest’ultima stava per essere ceduta ai francesi con l’Opa di Italenergia su Montedison sponsorizzata dagli Agnelli nell’ormai lontano 2001. In più Ligresti aveva potuto contare, dal 2001 in poi, nell’accondiscendenza delle autorità di vigilanza con Lamberto Cardia alla presidenza Consob e Giancarlo Giannini a quella dell’Isvap, quest’ultimo anch’esso indagato per corruzione dalla procura di Milano proprio per non aver vigilato a sufficienza. Con il mordere della crisi e un’esposizione in prestiti subordinati verso Fonsai di oltre un miliardo, la Mediobanca in mano a Renato Pagliaro e Alberto Nagel nell’estate 2011 decideva che fosse giunto il momento di scaricare i Ligresti e di trovare una collocazione più appropriata e più sicura per quel gioiello assicurativo. Era infatti opinione di molti osservatori della finanza milanese che la Fonsai tolta dalle mani avide e incompetenti dei Ligresti avrebbe potuto essere riportata velocemente sulla retta via con un recupero di valore assai importante. Ma nell’inverno 2011, con il governo Berlusconi in agonia per la perdita di credibilità internazionale e lo spread con il Bund che schizzava sopra i 500 punti, il salvataggio di Fonsai divenne per Mediobanca una questione di vita o di morte: senza un aumento di capitale da almeno 500 milioni la compagnia rischiava di collassare e con essa anche il miliardo di esposizione di Piazzetta Cuccia e, probabilmente, anche il management che non aveva saputo intervenire per tempo. Iniziò così una durissima battaglia per far confluire la Fonsai nelle braccia dell’Unipol, il soggetto che a fine dicembre 2011 era stata considerata da Pagliaro e Nagel l’unica soluzione praticabile per un gruppo di quelle dimensioni. Inoltre Mediobanca era esposta per altri 250 milioni con la compagnia delle Coop e dunque mettendo insieme le due realtà contestualmente rinvigorite da un robusto aumento di capitale avrebbe potuto salvare capra e cavoli, ma soprattutto gli interessi delle banche. A favore di un’operazione così costruita, a protezione del sistema italiano, si pensava di poter allineare tutte le autorità di vigilanza, poiché lo spettro e gli effetti a catena di un eventuale default della compagnia dei Ligresti avrebbe nuociuto a tutti, in primis a quelli che avevano vigilato male. E così è stato, anche se con diversi incidenti di percorso rispetto al piano iniziale. A partire dai Ligresti, che in un primo momento danno il loro benestare all’operazione dalla quale avrebbero potuto incassare una congrua liquidazione delle azioni in loro possesso più una serie di benefici che spaziavano dalle macchine con l’autista all’utilizzo di una tenuta agricola. Ma Giuseppe Vegas, presidente della Consob, interviene preventivamente imponendo a Mediobanca & C. di non prevedere alcun beneficio per coloro che riteneva responsabili di un disastro. Un intervento anomalo che fa insorgere il commissario Consob Michele Pezzinga il quale in un’intervista a Repubblica dichiarava: «Non mi pare opportuno, e non so quanto giovi all’immagine della Consob, indossare i panni che normalmente vestono i consulenti di gruppi privati suggerendo una riformulazione dell’operazione che al momento nessuno sa se possa incontrare il via libera del collegio». I Ligresti dunque si rivoltano contro la nuova formulazione dell’operazione e cominciano a mettere i bastoni tra le ruote, con insinuazioni soprattutto sulla solidità dei bilanci di Unipol, che nelle intenzioni doveva essere la società sana che salva una compagnia sull’orlo del fallimento. Una perizia commissionata alla società Ernst & Young produce il famoso progetto “Plinio” nel quale viene evidenziata la presenza di oltre 5 miliardi di titoli strutturati all’attivo della compagnia bolognese di difficile valutazione. Il duro braccio di ferro sui concambi della fusione si conclude però a favore di Mediobanca e Unipol le quali, sorrette da uno stuolo di avvocati e banche d’affari affamati di parcelle e commissioni, confermano le ipotesi a loro più favorevoli. Vengono respinte tutte le strade alternative, in particolare quella portata avanti dalla coppia Sator e Palladio, sorretta anche dal custode giudiziale dei titoli Premafin, che prevede un aumento di capitale più contenuto per Fonsai e una minore penalizzazione per i piccoli azionisti. Il treno ormai corre veloce e nessuno è in grado di fermarlo. La procura chiede chiarimenti sui titoli strutturati ma la Consob rimanda la risposta a data da destinarsi, i Ligresti vengono tenuti a bada da Nagel grazie alla firma di un “papello” che prevede per loro sostanziosi benefici mai riconosciuti, il via libera dell’Isvap arriva nonostante l’opposizione di un dirigente preposto e così nell’estate 2012 il mercato “beve” il doppio aumento di capitale per Unipol e Fonsai per un totale monstre di 1,2 miliardi anche se con il 30% di inoptato. La strada verso l’agognata fusione sembra ormai spianata e l’unico ostacolo ancora rimasto riguarda ancora l’analisi del portafoglio di titoli strutturati Unipol, che prosegue all’interno della Consob a cura dell’ufficio Analisi quantitative guidato da Marcello Minenna. E si conclude solo nel dicembre 2013, quando l’autorità presieduta da Vegas deve dare l’ultimo via libera alla fusione che porta alla nascita di UnipolSai. Come andò quella riunione è difficile dirlo e gli atti che lo testimoniano potrebbero essere stati acquisiti dalla procura solo giovedì scorso. Pare appurato che nella riunione fossero in tre a decidere, Vegas, Pezzinga (in scadenza di lì a qualche giorno) e il commissario Troiano. Sul tavolo c’era probabilmente la relazione di Minenna, frutto di un anno e mezzo di lavoro. Ed è possibile, anche se non accertato, che Vegas abbia fatto valere il suo doppio voto nel caso di stallo sulla decisione. Fatto sta che il via libera è arrivato e il 16 gennaio 2014 la fusione tra Premafin, Unipol Assicurazioni, Fonsai e Milano Assicurazioni è diventata operativa a tutti gli effetti. Ma sulla correttezza dei concambi e sulle dichiarazioni riguardanti i bilanci ora la procura ci vuole vedere più chiaro. A sinistra, l’andamento in Borsa del titolo UnipolSai, e la raccolta premi del gruppo nel primo trimestre del 2014 rispetto allo stesso periodo del 2012 Oltre a UnipolSai, la società assicurativa operativa, è quotata anche la hol
ding Unipol Gruppo Finanziario Qui sopra, un’immagine della sede storica di Unipol, in Via Stalingrado a Bologna, tuttora il quartier generale della compagnia delle Coop IL NUOVO ASSETTO Nel grafico a sinistra, la struttura del Gruppo Unipol dopo la fusione con il gruppo Fondiaria Sai. Le Coop controllano saldamente la holding con il 54,3% delle azioni ordinarie, mentre a sua volta la finanziaria controlla il 62,1% di UnipolSai