di Anna Messia
Sono la confusione e la poca trasparenza ad aver frenato l’adesione degli italiani alla previdenza integrativa, al palo da anni, e a questo punto c’è assoluto bisogno di una svolta. Ne è convinto Gian Emilio Osculati, responsabile area di governo Wealth Management diIntesa Sanpaolo, che proprio della semplificazione e della comprensibilità dei prodotti distribuiti, anche per i clienti meno esperti di finanza, ha fatto il punto di forza delle società da lui guidate dal 2009.
Con successo visto che Intesa Sanpaolo Vita, nata a gennaio 2012 dalla fusione di Eurizon Vita, Intesa Vita, Sud Polo Vita e Centrovita, in pochi anni ha scalato le classifiche, e l’anno scorso è diventata la prima compagnia Vita italiana, con 13,9 miliardi di euro di raccolta, davanti a Generali Vita (13,3 miliardi) e alle Poste Italiane (13,1 miliardi). E anche Intesa Previdenza, dedicata alla previdenza complementare, l’anno scorso è balzata al secondo posto del mercato delle pensioni integrative, subito dietro Generali, a davanti alle Poste, con 2 miliardi di asset in gestione. «La nostra raccolta previdenziale sta continuando a crescere. Nel primo trimestre di quest’anno abbiamo avuto 14 mila nuove adesioni», dice Osculati a MF-Milano Finanza, «ma si tratta di numeri esigui. Due miliardi sono pochi rispetto agli 85 gestiti dalla nostra compagnia Vita e non c’è ragione per cui le adesioni non aumentino, visto che gli italiani hanno estremamente bisogno di integrare la pensione dello Stato e la tassazione di questi prodotti è dell’11%, rispetto al 26% che sarà applicato da luglio ai fondi comuni. C’è bisogno però di un intervento del legislatore per semplificare il mercato e renderlo comprensibile per tutti».
Domanda. Da dove bisognerebbe partire?
Risposta. Prima di tutto gli italiani dovrebbero prendere coscienza del problema previdenziale, e poi bisognerebbe investire di più e meglio, aumentando al contempo la trasparenza e i controlli.
D. Come si fa però a invogliare gli italiani a investire in previdenza complementare quando sono senza lavoro, e se ce l’hanno è spesso precario?
R. Proprio per questo dovrebbero investire di più in previdenza, e l’afflusso che stanno continuando ad avere le polizze Vita dimostra che il risparmio c’è. Ma i lavoratori fatto fatica a orientarsi tra mille prodotti previdenziali, ognuno con le proprie caratteristiche. Servono regole uguali per tutti, che consentano ai lavoratori di scegliere il gestore migliore, con una reportistica di fine anno uguale per tutti i prodotti, fondi o polizze che siano, e bisognerebbe eliminare alcune rigidità, come il divieto di incassare il capitale quando il piano previdenziale è arrivato a scadenza.
D. Ma in questo modo i prodotti di previdenza complementare, nati per offrire una rendita aggiuntiva alla pensione pubblica, non rischierebbero di essere snaturati?
R. La possibilità di prendere il capitale andrebbe concessa solo a chi ha già una pensione pubblica adeguata. In questo modo aumenterebbero le adesioni di chi non è interessato ad avere una rendita. E poi c’è bisogno di aumentare i rendimenti, consentendo ai fondi di investire meglio anche in strumenti alternativi, come private equity e hedge fund, in particolare per gli iscritti più giovani. Ma soprattutto serve lavorare sul processo di semplificazione. A Intesa Sanpaolo abbiamo riscritto tutte le regole di comunicazione con il cliente, e prima di lanciare una polizza verifichiamo che passi il test csu, cioè che sia chiaro, semplice e utile. Comprensibile insomma alla gente comune che non si occupa di finanza. Un sistema che funziona visto che i reclami sono crollati e a marzo scorso erano 2 su 1 milione di clienti.
D. Come sta andando la raccolta nel Vita? I dati di sistema parlano di crescita ulteriore dopo un 2013 da record.
R. Il flusso netto nei premi tre mesi dell’anno per Intesa Sanpaolo Vita è stato di 2,4 miliardi, pari al 60% del flusso netto rilevato nell’intero 2013, che era di 4,05 miliardi. Mentre il risultato netto è aumentato del 12% a 124 milioni. Una crescita che sta avvenendo mantenendo un rapporto tra costi e masse dello 0,1%, contro lo 0,3-0,4% medio dei bancassicuratori francesi.
D. Come pensate di chiudere il 2014?
R. Sono molto positivo. Stiamo lanciando nuovi prodotti, come la prima polizza Prospettiva 2.0 un prodotto di ramo III, in cui per la prima volta una compagnia si impegna a investire direttamente una parte delle proprie risorse nella stessa gestione acquistata dal cliente (il 15% di quanto investito dal risparmiatore, ndr). La dimostrazione che crediamo nei prodotti che distribuiamo. La sfida per il futuro sarà ora lo sviluppo della bancassicurazione Danni.
D. Una scommessa che finora non ha dato grandi risultati. Le polizze Danni allo sportello faticano a crescere.
R. C’è bisogno di un cambiamento culturale e non è facile. Ma siamo convinti di poter innovare anche in questo campo. Abbiamo lanciato un prodotto Rc Auto che, grazie alla scatola nera, assicura assistenza al guidatore in caso di incidente, o di necessità di soccorso. E da poche settimane sul mercato c’è anche una polizza adatta a chi non usa molto l’automobile. Il nostro piano prevede di arrivare a fine 2017 a 800 milioni di premi Danni, quadruplicando i 200 milioni di fine 2013.
D. Dopo il riassetto da lei avviato qual è oggi il ruolo del polo assicurativo all’interno del gruppo Intesa Sanpaolo?
R. Grazie alle filiali di Intesa Sanpaolo siamo orgogliosi di essere uno dei pilastri fondamentali del gruppo, con soddisfazione delle nostre persone e dei clienti. Nel 2013 il nostro contributo alla capogruppo è stato pari a 1,17 miliardi. (riproduzione riservata)