di Andrea Di Biase
Ci sono voluti quasi due anni, ma alla fine il sostituto procuratore di Milano, Luigi Orsi, ha rotto gli indugi e ha deciso di iscrivere l’ad di Unipol, Carlo Cimbri, e altri tre manager del gruppo bolognese (Fabio Cerchiai, Roberto Giay e Vanes Galanti) nel registro degli indagati con l’accusa di aggiotaggio nell’ambito dell’inchiesta sulle vicende che hanno portato all’integrazione di Premafin, Fondiaria-Sai e Milano Assicurazione nel gruppo controllato dalle coop.
Così sosteneva Gismondi nella primavera del 2012 proprio davanti al pm Orsi: «Secondo il mio giudizio, ma è una mia visione seppure supportata da numeri, UnipolAssicurazioni ha urgente bisogno di essere capitalizzata. La sua controllante la iscrive a bilancio a un multiplo importante del suo valore. Si può ipotizzare che con questa operazione il management di Unipol provi a nascondere la sottocapitalizzazione». In quell’occasione Gismondi mostrava poi al pm una tabella che indicava il valore attribuito dagli advisor delle due compagnie rispettivamente a FonSai e a Unipol Assicurazioni. È la famosa tabella pubblicata sui giornali ai tempi della trattativa e dalla quale emerge, anche alla luce delle differenti metodologie utilizzate, una larghissima discrepanza tra i valori attribuiti dai rispettivi consulenti alle due compagnie. Gli advisor dei bolognesi attribuivano infatti a Unipol Assicurazioni un valore di 1,678 miliardi, mentre quelli di FonSai, che si basavano sulla due diligence condotta dai revisori di Ernst & Young (riassunta nell’ormai famoso progetto Plinio) erano arrivati a sostenere che, in caso di integrale svalutazione dei titoli strutturati in portafoglio alla compagnia delle coop, quest’ultima avrebbe avuto un patrimonio netto negativo per 26 milioni. Una discrepanza che riguardava anche il valore diFonSai che i consulenti di quest’ultima ravvisavano essere pari a 1,618 miliardi, mentre gli advisor di Unipol fissavano, anche alla luce di una teorica svalutazione di gran parte del patrimonio immobiliare, in 448 milioni. Il tema rimane dunque lo stesso di allora e riguarda la presunta debolezza patrimoniale del gruppo Unipol in relazione al portafoglio di titoli strutturati e l’atteggiamento assunto dalle autorità di vigilanza nella verifica di tale consistenza. Stando alla testimonianza di Gismondi e agli altri atti del procedimento milanese finiti sui giornali, sembrerebbe che sia la Consob, dove ieri la Gdf ha acquisito documentazione sull’operazione, sia l’Isvap siano state di manica larga con il gruppo bolognese.
Ma se questi sono i sospetti dell’accusa, è altrettanto vero che l’iter autorizzativo della fusione, almeno nella tempistica, è stato tutt’altro che sbrigativo, tanto che l’ultimo ok al merger è arrivato solo la scorsa estate, dopo un’istruttoria di quasi 8 mesi condotta non più dalla chiacchierata Isvap di Giancarlo Giannini ma dall’Ivass, la nuova autorità di vigilanza sulle assicurazioni, che fa capo alla Banca d’Italia e che, nel caso dei progetti di fusione, delibera con un collegio formato dal direttorio di Via Nazionale (compreso dunque il governatore Ignazio Visco) integrato dai tre consiglieri dell’authority.
La notizia dell’indagine a carico di Cimbri e delle perquisizioni effettuate nella sede diUnipolSai ha pesato sui titoli del gruppo (-7,3% Ugf, -3,8% UnipolSai), tanto che il gruppo ha stigmatizzato «che la notizia delle indagini sia divenuta di dominio pubblico con immediati, conseguenti e gravi impatti sul corso dei titoli del gruppo Unipol». (riproduzione riservata)