di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Investire in un fondo pensione è un impegno a lungo, anzi lunghissimo termine, e su distanze così lunghe anche pochi punti in meno di commissione possono fare la differenza. Lo ricorda la Covip: «Su orizzonti temporali lunghi differenze di un punto percentuale producono significativi effetti negativi sulla prestazione finale, anche dell’ordine del 20%».
Da qui la necessità di monitorare non solo l’efficacia del prodotto scelto, ma anche quanto costa. Una buona notizia arriva, però, da un’indagine condotta da Mefop. Che ha rivelato che la concorrenza nel settore inizia a produrre effetti sui costi che stanno scendendo. In testa per convenienza ci sono i fondi negoziali. Come spiegano i ricercatori dell’ente per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione. «L’assenza dello scopo di lucro per i fondi pensione negoziali, unitamente a un’organizzazione snella, al massiccio ricorso all’esternalizzazione delle funzioni amministrative e finanziarie e alla crescente forza contrattuale nei confronti dei fornitori di servizi, hanno prodotto una decrescita dei profili commissionali, che si riflette in maggiori risorse da investire per gli aderenti», si legge nell’analisi di Maria Dilorenzo e Antonello Motrini per la newsletter Mefop. Fondi pensione aperti e schemi individuali assicurativi rispondono a logiche diverse. Come ricordano i due esperti di Mefop: «Gli istitutori di fondi pensione aperti e piani previdenziali pip sono operatori commerciali, più sensibili alle logiche di mercato.
Non va inoltre dimenticato che nella diffusione di tali prodotti un ruolo determinante è svolto dalle reti territoriali di collocamento, che devono essere adeguatamente incentivate dalle società istitutrici». Proprio da questo punto di vista il mercato guarda con interesse a quanto è accaduto in Gran Bretagna. «A inizio del 2013 è entrata in vigore la Retail Distribution Review, che vieta alle reti distributive di essere remunerate dalle case prodotto», ricorda l’analisi Mefop. Secondo gli esperti questa via potrebbe essere interessante da percorrere anche in Italia. Con la nascita di due tipologie di offerta, una legata alla consulenza e una più low cost che preveda la sola sottoscrizione. «I soggetti istitutori potrebbero diversificare l’offerta previdenziale, affiancando ai prodotti commercializzati attraverso i canali tradizionali, che continuerebbero ad avvalersi della consulenza delle reti distributive, altri che non prevedono alcuna attività di advisory. Questi ultimi beneficerebbero di un profilo commissionale più economico rispetto ai primi, dovendo remunerare soltanto i costi per l’avvio e la gestione del fondo pensione», sottolineano gli esperti. Che concludono: «Il contenimento dei costi rappresenta una delle variabili fondamentali per la crescita del secondo pilastro. La scelta di lasciarlo alle forze di mercato sembra dare i primi apprezzabili risultati. Nel mercato si ravvisano però gli spazi per abbassare ulteriormente i livelli commissionali, in particolare sul versante degli schemi individuali. Per quanto riguarda le forme contrattuali, invece, occorre evitare il rischio che l’attenzione al contenimento dei costi freni l’evoluzione dei profili di governance e dei modelli di allocazione delle risorse verso forme più coerenti con la finalità dei fondi pensione».
E proprio i fondi pensione ora rischiano un possibile aumento della tassazione sul capital gain dall11% all’11,5%. Una mossa che crea preoccupazione nell’industria. «Si tratterebbe di una penalizzazione fiscale del risparmio previdenziale che va in senso opposto alle intenzioni annunciate dal Governo di voler sostenere il secondo pilastro. Un intervento che, mettendo in discussione la stabilità delle norme, rischia di compromettere ogni iniziativa finalizzata al rilancio del sistema di previdenza complementare, tanto più in una fase di sostanziale stallo delle adesioni», sottolineano da Assofondipensione. (riproduzione riservata)