Il cantiere-pensioni in Italia sembra destinato a restare sempre aperto. Durante l’audizione alla Commissione Lavoro del Senato il ministro del Welfare Enrico Giovannini ha annunciato che il governo pensa a una modifica della riforma delle pensioni che consenta maggiore flessibilità per consentire l’uscita dal lavoro «in cambio di penalizzazioni».
Si tratterebbe di un’estensione alla flessibilità già prevista dalla riforma Fornero. Con la possibilità quindi per il lavoratore di accedere prima alla pensione in cambio di una riduzione dell’assegno finale. Una riduzione a un assegno che sarà sempre più magro per chi oggi è 30-40 enne, a causa dell’effetto combinato del sistema contributivo puro e della recessione economica che impatta sulla rivalutazione del proprio montante previdenziale. Ma la previdenza integrativa ancora non decolla. «La percentuale di adesione europea al secondo pilastro», ha detto alla Giornata Nazionale della Previdenza il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, «supera il 90%, quella italiana è intorno al 25% e ciò sta forse a rappresentare che abbiamo noi un gap da colmare». Un dato che dovrebbe far riflettere proprio i quarantenni ancora restii a munirsi di una forma di risparmio destinata alla pensione di scorta. In Italia ogni anno vengono investiti nei fondi pensione 7,2 miliardi, mentre vengono destinati al gioco d’azzardo 24 miliardi.
Nella valutazione di differenti soluzioni di previdenza complementare spesso ci si sofferma solo su singoli fattori, quali costi e rendimenti offerti. La stima di quanto potrà offrire a un risparmiatore una forma di previdenza complementare include invece molti più parametri, alcuni dei quali decisamente rilevanti.
La società di consulenza indipendente Progetica ha elaborato per MF-Milano Finanza i sei punti da esaminare per scegliere il proprio fondo pensione. Ecco come valutare i singoli temi.
1. Costi medi annui sul montante. «I costi in forma annua sul montante hanno un impatto relativamente limitato, sensibile soprattutto per chi è ancora più lontano dal momento della pensione.
2. Confronto tra performance e mercato. È invece molto importante affidarsi a un bravo gestore, perché la performance messa a segno nel lungo periodo fa la differenza. «Appare rilevante l’effetto di un rendimento di un punto percentuale superiore o inferiore al benchmark di riferimento. Questo perché la capitalizzazione composta nel tempo ne amplifica gli effetti», aggiunge Carbone.
3. Tasso tecnico dei coefficienti di trasformazione in rendita. «È un parametro poco noto ai non addetti ai lavori, eppure avere una rendita erogata con un tasso tecnico dello 0% o del 2% crea una differenza maggiore di quella creata dai rendimenti». Il tasso tecnico è un’operazione di sconto che remunera la cessione del denaro nel tempo e definisce non solo l’ammontare della prima rendita, ma anche la modalità di rivalutazione nel tempo della stessa.
4. Linea di investimento. Molto rilevante è anche il «costo della sicurezza», scegliere cioè una forma pensionistica garantita invece di una bilanciata. Avverte Carbone: «Ci si mette al riparo da oscillazioni, ma si perde l’opportunità offerta dal lungo periodo. Si ricorda che in previdenza il rischio finanziario riguarda principalmente la variabilità della prestazione finale e non l’oscillazione di breve periodo».
5. La modalità di versamento. Decisamente da non sottovalutare è la modalità con la quale si alimenta il proprio piano pensionistico. «La differenza tra mantenere un importo costante in termini nominali e invece adeguare ogni anno all’inflazione il proprio versamento è compresa tra i 16 e i 37%. Un dato che ricorda quanto sia importante monitorare nel tempo le proprie strategie per poterle eventualmente aggiornare», dice Carbone.
6. Benefici fiscali. «L’ultima simulazione ipotizza che il beneficio fiscale sui versamenti venga usato per aumentare il versamento stesso. In questo caso la variazione percentuale dipende dal livello di reddito, che nei casi considerati è pari a 36 mila euro lordi annui», conclude Carbone.
Resta poi aperto il tema di come riavvicinare i lavoratori italiani al mondo della previdenza complementare. «Dal punto di vista normativo il sistema di previdenza complementare italiano vanta un impianto completo che necessita di pochi aggiustamenti», dice Andrea Lesca, direttore generale di Intesa Sanpaolo Previdenza. «Tra questi sarebbe auspicabile un intervento che vada a completare il quadro della portabilità delle contribuzioni aziendali ampliandola a tutte le diverse forme pensionistiche complementari, così da facilitare le scelte dei lavoratori dipendenti e favorire la competitività del sistema nel suo complesso».
Anche l’industria del risparmio può svolgere un ruolo. «Gli italiani, come evidenziano recenti ricerche, sanno ancora troppo poco di previdenza: sono quindi necessari nuovi modelli di consulenza per accompagnare il lavoratore fino alla pensione, unendo le competenze su prodotti e servizi a quelle di previdenza pubblica», dice Lesca. Se poi si arriverà a introdurre maggiore flessibilità nell’addio al lavoro i prodotti di previdenza integrativa potranno adattarsi alla novità. «In caso di introduzione della flessibilità in uscita nel mondo del lavoro», ricorda Lesca, «il sistema normativo della previdenza complementare potrebbe procedere a un revisione delle proprie regole. Si potrebbe usufruire della prestazione pensionistica complementare prima del raggiungimento della pensione pubblica utilizzando il fondo pensione come ammortizzatore sociale anche in caso di un’eventuale vacatio dell’assegno di pensionamento obbligatorio».
Ma le sfide per la previdenza integrativa alle prese con una trasformazione del welfare non si fermano qui. «Occorre certamente reinventare gli strumenti di welfare, pensando a formule innovative, mai attivate fino ad oggi, che integrino la previdenza complementare con prestazioni sanitarie, magari specialistiche, e altri servizi, come coperture assicurative contro il rischio della perdita di lavoro», conclude Lesca. (riproduzione riservata)