Adriano Bonafede
S arà adesso l’inchiesta formale già aperta dalla Consob, e che fa capo a Marcello Bianchi, responsabile della divisione corporate governance, a stabilire se siano state violate delle norme con la lista di minoranza Assogestioni per Intesa Sanpaolo. La lista dei consiglieri di minoranza – oggetto di contestazioni e discussioni all’interno della stessa associazione – non è stata alla fine votata da tutti i fondi (sono mancati all’appello quelli esteri), ragion per cui i gestori hanno ottenuto soltanto 2 posti nel Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo invece dei 4 che avrebbero comodamente potuto portare a casa se ci fosse stata una piena convergenza. Piena convergenza che, invece, si è verificata in tutte le altre società quotate. Non soltanto: calcoli più precisi dimostrano che Assogestioni, se avesse sfruttato per intero e senza riguardi la sua forza d’urto, sarebbe potuta arrivare addirittura a 8-9 consiglieri, sconvolgendo completamente la governance della banca in cui le Fondazioni la fanno da padrone. Intesa Sanpaolo è dunque un’eccezione che non soltanto brucia ma che adesso è al vaglio della Commissione di vigilanza sulla Borsa. In sostanza, il danno che ne è derivato è che i fondi alla fine non sembrano aver votato nell’esclusivo interesse dei loro sottoscrittori, il che avrebbe richiesto la massimizzazione del numero dei consiglieri eletti con il proprio voto. Gli addetti ai lavori parlano di un “grave danno reputazionale” per Assogestioni, dove le discussioni non sono mancate, tanto che a un certo punto di questa storia si era dimesso anche Guido Giubergia, coordinatore del Comitato gestori di Assogestioni. Il caso Intesa riporta alla ribalta quello che è uno storico, irrisolto problema delle società di gestione italiane. Quasi tutte, infatti, con poche eccezioni (Azimut, Kairos, ecc.) sono emanazioni delle stesse banche. Il conflitto d’interesse è dunque incorporato nel dna delle sgr, al contrario di quel che avviene negli altri paesi, dove esiste un forte nucleo di gestori indipendenti dal sistema bancario e dunque senza potenziali conflitti. La vicenda ha inizio con l’intervento di Eurizon – la controllata di Intesa per il risparmio gestito – in seno ad Assogestioni contro uno dei candidati inseriti nella lista, il professor Vincenzo Carriello. Quest’ultimo, che in passato aveva lavorato per Intesa, si era in realtà già impegnato a dimettersi dallo studio professionale una volta eletto. Inoltre, la sua candidatura era stata approvata dal Comitato gestori, l’organo tecnico di Assogestioni che sceglie i candidati delle liste di minoranza. L’intervento di Eurizon – è stato notato con lucidità da Luigi Zingales sul Sole 24 Ore, che ha addirittura provocato un intervento del Governatore Ignazio Visco – non avrebbe mai dovuto esserci. Secondo le stesse regole stabilite da Eurizon, infatti, e riportate nel suo sito, quando si verifica un caso di conflitto d’interessi avrebbe dovuto astenersi. In questo caso Eurizon si stava adoperando per cambiare la lista preparata da Assogestioni per la sua controllante. Eurizon avrebbe dunque palesemente violato le sue stesse regole (e anche molte altre di Banca d’Italia e di Consob), ma come altre volte in questo paese – non sarà facile per l’ente di vigilanza (la Consob) dimostrare questo intervento. Perché Eurizon ha avuto cura di partecipare soltanto a una discussione preliminare ma poi non ha votato nella riunione decisiva del Comitato di Assogestioni. La solita differenza tra forma e sostanza. Ma, se si guarda alla sola sostanza, gli osservatori ravvisano una chiara intenzione da parte dei soci di Intesa, in primis le Fondazioni, di bloccare consiglieri di minoranza non graditi e addirittura di bloccarne alcuni perché altrimenti, anche solo con 4 o 5, sarebbe di fatto mutata la governance. Fin qui niente di nuovo ma soltanto un’ulteriore manifestazione dei limiti di quel capitalismo relazionaleche da sempre caratterizza l’Italia, La cosa forse più sorprendente è che hanno contribuito fattivamente a ridurre il numero di consiglieri di minoranza eletti da Assogestioni in Intesa proprio i fondi esteri. I quali, consigliati in tal senso da due principali “proxy advisor” (agenzie di valutazione delle decisioni di voto) come Institutional Shareholders (Iss) e Glass Lewis, hanno ritirato il loro appoggio alla lista di Assogestioni. Strano perché, invece, in tutti gli altri casi i fondi esteri hanno dato manforte ad Assogestioni che proprio nella stagione assembleare 2013 ha ottenuto il più grande successo della sua storia nel far eleggere i consiglieri di minoranza nelle società quotate. Secondo i dati resi noti la scorsa settimana e pubblicati sul sito, le liste presentate dal Comitato dei Gestori hanno permesso di far eleggere ben 31 dei candidati proposti. E molti di loro hanno ottenuto una percentuale di voti in assemblea superiore al 30 per cento, corrispondenti spesso a più del 20 per cento del capitale sociale (vedi grafici in pagina). «Comparando i dati relativi alle stagioni assembleari 2010 e 2013 – si legge nel sito di Assogestioni – le società in cui sono state depositate delle liste è salito da 6 a 14 e il numero di liste depositate è più che raddoppiato, passando dalle 7 del 2010 alle attuali 16». Qui sopra, l’interno di Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana