La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci, verso la società che abbia esercitato l’attività assicurativa in un ramo non autorizzato dall’organismo di vigilanza del settore, ha natura contrattuale e, penante, la società ha solamente l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi; incombe, invece, sugli amministratori e sui sindaci l’onere di provare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, dando conto, con riferimento agli addebiti contestati, di avere osservato i doveri e di avere adempiuto agli obblighi loro imposti.
L’art. 2932, comma 2, c.c., nel testo vigente prima delle modifiche apportate dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, poneva a carico degli amministratori privi di deleghe il dovere di vigilare sul generale andamento della società, dovere che non veniva meno in caso di attribuzione di funzioni al comitato esecutivo o a singoli amministratori delegati, salva la prova che i restanti consiglieri, pur essendosi diligentemente attivati, non avessero potuto concretamente esercitare la predetta vigilanza, per il comportamento ostativo degli altri componenti del consiglio. Alla vigilanza di un amministratore privo di delega non può sfuggire che la società eserciti l’attività assicurativa, in un determinato ramo, senza la prescritta autorizzazione.
Qualora la società svolga un’attività protratta nel tempo al di fuori dei limiti consentiti dalla legge, sussiste la violazione del dovere di vigilanza, imposto dai sindaci dall’art. 2407, comma 2, c.c.: ai fini dell’affermazione della responsabilità civile dei sindaci nei confronti della società, non occorre l’individuazione di comportamenti specifici da parte dei medesimi, ma è sufficiente l’omessa rilevanza di una macroscopica violazione di legge, o comunque il fatto che i sindaci non abbiano reagito, segnalando all’assemblea dei soci le irregolarità di gestione riscontrate, o denunciando i fatti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 2409 c.c.; infatti, può ragionevolmente ritenersi che il ricorso a siffatti rimedi, o la sola prospettazione, rivolta agli amministratori, di attivarsi in tal senso, sarebbero stati idonei ad evitare o quantomeno a ridurre le conseguenze dannose della condotta contra legem.
Cass. civ., II novembre 2010, n. 22911