di Roberta Castellarin e Paola Valentini
La media europea di adesioni alla previdenza complementare è del 91%, mentre in Italia gli iscritti sono soltanto il 23% dei lavoratori. Questo fa sì che il rapporto tra il patrimonio dei fondi pensione italiani rispetto pil, pari al 4,6%, sia inferiore anche a quello di Stati come El Salvador (25%), Perù (20%) o Bulgaria (5,7%). Nonostante ciò in Italia oggi la scelta non manca. Anzi, ci sono fin troppi fondi, come ha denunciato anche Antonio Mastrapasqua, intervenuto alla Giornata Nazionale della Previdenza: «Credo non sia giusto avere più di 500 fondi pensione», ha detto il presidente dell’Inps. Il problema è che ci sono molti fondi con pochi iscritti. Anche il presidente della Covip Antonio Finocchiaro è intervenuto sul tema sottolineando che alcuni comparti arrivano a malapena a una decina di aderenti. È quindi necessario portare avanti un processo di concentrazione che consenta di aumentare i capitali investiti, abbassare i costi e incrementare la trasparenza dei fondi. I dati sui singoli fondi confermano questa situazione. «Il trecentesimo fondo pensione europeo gestisce il doppio di Cometa, il maggior fondo negoziale italiano che ha 6 miliardi di patrimonio», ha fatto notare Alberto Brambilla, presidente del comitato scientifico di Itinerari Previdenziali che ha organizzato la Giornata della previdenza. Per non parlare dei big europei. Il maggiore è il fondo pensione della Norvegia che gestisce 412 miliardi di euro, seguito dal fondo olandese Abp con 238 miliardi. Mentre il più grande del mondo è il fondo pensione del governo giapponese che ha asset per 1.000 miliardi. I numeri ridotti della previdenza complementare italiana preoccupano perché il modello di welfare tricolore sarà sempre meno finanziato dallo Stato. «La grave crisi finanziaria, l’invecchiamento della popolazione e l’enorme debito pubblico ci costringeranno a cambiare il nostro modello di welfare, che in futuro avrà prestazioni inferiori a oggi», spiega Brambilla. «Ciò che prima davamo per scontato, ovvero che “ci pensa lo Stato”, non lo sarà più. Dunque dovremo pensare a valorizzare e proteggere il nostro futuro». È assodato che la pensione pubblica dei giovani, per i quali è previsto il sistema di calcolo contributivo, è destinata a essere più bassa di quella dei loro genitori, che beneficiano del ben più generoso metodo retributivo. E a breve si saprà anche di quanto. Mastrapasqua, proprio in occasione della Giornata della Previdenza, ha annunciato che a breve l’istituto invierà agli iscritti la busta arancione che conterrà una stima della pensione che ciascun lavoratore si potrà attendere. «Per troppo tempo è stato detto che l’Inps non è stato in grado di dare la busta arancione ai suoi 22 milioni di scritti», ha spiegato Mastrapasqua, «ma il problema è che gli archivi dell’istituto non erano puliti. Oggi abbiamo sistemato quasi totalmente i nostri database. Adesso stiamo cercando di delineare gli scenari in base ai quali fornire il dato. Quindi ora sono in grado di affermare che l’Inps a brevissimo partirà con la simulazione del calcolo della pensione, al quale si potrà aggiungere anche una stima di quanto si otterrà in più prolungando il tempo di permanenza al lavoro». In ogni caso bisogna far capire che quello previdenziale è un problema che va affrontato perché le risorse, nonostante la crisi, ci sarebbero. «Nel 2011 gli italiani hanno speso 24 miliardi, pari a 1.260 euro pro-capite, in giochi e scommesse, contro i 3,7 miliardi investiti nei fondi pensione, pari a 664 euro pro-capite», ha sottolineato Brambilla. Tanto più che in campo previdenziale, prima si inizia a risparmiare meglio è. «Per tutti i giovani che hanno iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996 l’integrazione al minimo non ci sarà più e non ci saranno neppure le maggiorazioni sociali delle pensioni; se non avranno versato a sufficienza, dovranno lavorare anche da vecchi». Il tema della previdenza va allargato fino a comprendere un nuovo welfare che chiama in causa anche le aziende. «Non sarà più welfare state, ma si tornerà a un nuovo welfare mix dove Stato, imprese e individui opereranno insieme per migliorare il benessere sociale », ha concluso Brambilla. «Lo Stato dovrà agevolare fiscalmente parte delle retribuzioni, le imprese offriranno non più solo le classiche retribuzioni, ma anche servizi sociali, così gli individui avranno più strumenti per migliorare il proprio futuro». (riproduzione riservata)