È trascorso poco più di un mese dalla tragica scomparsa di Piermario Morosini, durante il primo tempo di Pescara-Livorno, partita del campionato di calcio di serie B. Le immagini del giocatore 25enne che cade sulle ginocchia e tenta istintivamente di rialzarsi, prima di crollare a terra privo di sensi, hanno fatto il giro del mondo e commosso milioni di persone, accompagnate dalle polemiche per il ritardo dei soccorsi, costato sei mesi di sospensione al vigile urbano che aveva impedito l’accesso dell’ambulanza sul terreno di gioco sostando con l’auto di servizio in un’area vietata. Era il 14 aprile e quello stesso giorno un dramma analogo ha rischiato di verificarsi su un campo molto meno prestigioso della periferia di Piacenza, dove un calciatore dilettante di 46 anni vittima di un infarto è stato salvato dall’intervento immediato di due medici, che sono riusciti a rianimarlo utilizzando il defibrillatore.
Fondamentale intervenire tempestivamente. In un comunicato diramato all’indomani del dramma di Pescara, il Coordinamento nazionale delle associazioni del cuore (Conacuore), che riunisce oltre cento associazioni di volontariato impegnate nella lotta alle malattie cardiovascolari, ha sottolineato che in casi simili l’attenzione si concentra quasi sempre “sul tardivo arrivo dell’ambulanza, vista come la soluzione del problema, mentre è il suo contenuto in uomini e materiali che deve intervenire subito col defibrillatore”. In Italia ogni anno si registrano circa 60mila decessi per morte cardiaca improvvisa, la maggior parte dei quali sono provocati dalla fibrillazione ventricolare, una grave aritmia cardiaca che si risolve solo applicando una scarica elettrica al cuore.
Sopravvivenza raddoppiata nei pazienti con ritmo defibrillabile. Alcune morti sono inevitabili, ma in molti casi applicare subito il defibrillatore può salvare la vita. Come nel caso di Piacenza, dove dal 1999 è attivo il “Progetto Vita”, che ha previsto la diffusione capillare di defibrillatori automatici esterni (Dae), apparecchi che sono in grado di riconoscere la fibrillazione ventricolare e di interromperla con uno shock elettrico, distribuiti in diversi punti fissi e mobili della città e affidati a volontari non sanitari formati con un corso della durata di cinque ore. Su un totale di 354 arresti cardiaci registrati in 22 mesi, in circa il 40% dei casi sono intervenuti i volontari e il tasso di sopravvivenza dei pazienti trattati inizialmente grazie al Progetto Vita, pari al 10,5%, è stato nettamente superiore rispetto al 3,3% registrato tra i pazienti raggiunti soltanto dai soccorsi avanzati. L’efficacia dell’intervento tempestivo dei volontari è stata ancora più evidente nei pazienti con ritmo defibrillabile. In questi casi, infatti, la percentuale di sopravvivenza è salita al 44,1% contro il 21,2%.
“Dopo 10 minuti i danni cerebrali sono irreversibili”. “Ogni minuto che passa dall’inizio dell’arresto cardiaco riduce di circa il 10% le probabilità di successo della scarica elettrica e dopo dieci minuti i danni subiti a livello cerebrale diventano irreversibili”, spiega Bruno Papaleo, del dipartimento di Medicina del Lavoro dell’INAIL, che coordina un gruppo di ricerca sulla diffusione della cultura del primo soccorso nei luoghi di lavoro. “L’esito degli infortuni sul lavoro – aggiunge Papaleo – non dipende soltanto dall’entità del danno, ma anche dalla prontezza ed efficacia dei primi soccorsi che possono fare la differenza tra la vita e la morte, tra recupero rapido o prolungato, tra disabilità temporanea o permanente. Questo vale anche per la morte cardiaca improvvisa, che in molti casi si verifica sul posto di lavoro”.
Organizzare l’emergenza nei luoghi di lavoro. L’organizzazione del primo soccorso sul posto di lavoro dovrebbe fondarsi sulla accurata valutazione delle caratteristiche dell’azienda, in relazione al numero dei lavoratori occupati, alla natura dell’attività e ai fattori di rischio presenti. L’efficacia del primo soccorso è correlata, infatti, a una serie di fattori che vanno dall’organizzazione di un piano di soccorso interno, alla formazione dei lavoratori, alla reperibilità ed efficienza dei presidi sanitari, fino all’attivazione precoce del 118 e alla corretta esecuzione delle manovre di rianimazione cardiopolmonare.
L’importanza della formazione della popolazione non sanitaria. La formazione degli addetti al primo soccorso, prevista dalla normativa vigente sulla sicurezza al lavoro, può contribuire alla diffusione della cultura dell’emergenza nella popolazione “laica”, cioè non sanitaria. Questa formazione è mirata a far sì che chi assiste a un incidente sappia mettere in atto delle manovre di facile esecuzione che permettono di prestare soccorso nel caso si verifichi un’alterazione delle funzioni vitali tale da mettere a repentaglio la sopravvivenza. La conoscenza diffusa di queste elementari manovre salvavita, compreso l’utilizzo del Dae, può avere un impatto positivo non solo sulla sicurezza dei lavoratori, riducendo gli esiti negativi degli incidenti sul lavoro, ma anche sulla società in generale.
“Dovrebbero essere disponibili come idranti ed estintori”. La legge numero 191 del 2009, con il relativo decreto ministeriale del 18 marzo 2011, raccomanda la presenza di Dae in tutti i luoghi di grande affluenza come alberghi, ristoranti, centri commerciali, cinema, piscine e stabilimenti balneari. Per Conacuore, però, le Regioni “devono applicarla in modo più rapido, estensivo, duttile, guardando alle forze dell’ordine ma anche a un volontariato da sempre disponibile”, fino a rendere il defibrillatore “disponibile come un idrante o un estintore”. Il Dae dovrebbe essere posizionato in modo da garantire l’intervento entro cinque minuti ed è consigliato soprattutto nelle aree in cui sono presenti apparecchi elettrici, nei luoghi di lavoro all’aperto, dove possono cadere fulmini o si lavora su linee elettriche, nelle zone isolate dove è più difficile fare arrivare i soccorsi e nei luoghi di transito o permanenza di molte persone.
La collaborazione tra l’Istituto e Irc Comunità. “Il percorso didattico specifico per l’utilizzo del Dae, previsto da linee guida internazionali – precisa Papaleo – può essere facilmente integrato con i corsi di formazione per addetti al primo soccorso che sono obbligatori per legge, nei quali è previsto un modulo specifico per l’emergenza e la rianimazione cardiopolmonare. A questo proposito, il nostro gruppo di ricerca ha stretto un accordo di collaborazione con Irc Comunità, un’associazione che promuove la lotta alla morte cardiaca improvvisa e la diffusione della cultura dell’emergenza sanitaria nella società civile, attraverso programmi di informazione e formazione. A seguito di questo accordo siamo diventati centro di formazione accreditato, referente per gli aspetti relativi all’emergenza nei luoghi di lavoro di una rete di istituzioni e associazioni che opera su tutto il territorio nazionale. Oltre alla formazione degli addetti e all’addestramento all’uso dei defibrillatori, ci occupiamo della formazione dei formatori”. Si tratta di un lavoro importante, perché, come ha ribadito Conacuore, “se tanti cittadini sapessero praticare le manovre di soccorso e fosse già attivato l’obbligo di presenza del Dae nei luoghi in cui il rischio è statisticamente maggiore” si potrebbero salvare molte più vite.
Fonte INAIL