Riceviamo e pubblichiamo questo contributo di Anna Fasoli di UEA.
La fiducia ha un vero e proprio valore economico. Impariamo a valorizzarla.
Oggi su circa 15000 agenzie sappiamo che 2000 chiuderanno a breve, 5000 non hanno problemi, ma ben 8000 traballano sulla pericolosa linea di confine. 8000 significa più della metà.
Allora non possiamo esimerci dal domandarci che cosa dobbiamo fare per rimettere in circolo risorse che facciano da volano per un rilancio. Anche perché c’è, sottotraccia, nella società un bisogno di (r)assicurazione. Un bisogno che nasce, con particolare intensità, nelle congiunture difficili, ma a cui spesso il cliente non sa quale sia la risposta concreta idonea a tutelarlo.
Ed è questo il punto: interpretare quella domanda, dare la forma esatta, la forma contrattuale: insomma la polizza.
Ma per arrivare al nucleo di quel bisogno, per aprire un dialogo con il cliente, è necessario instaurare un rapporto di fiducia.
A lungo relegata tra i concetti emotivi, immateriali, area di elucubrazioni psicologiche o filosofiche, finalmente oggi la fiducia viene a rivendicare la sua natura di vero e proprio dato economico.
La fiducia come voce di bilancio insomma.
Una voce ancora invisibile nelle scritture contabili, ma che invece gioca un ruolo numerico per nulla inferiore a quello di altre decisioni.
Ma che cosa significa fiducia, oggi, in economia? La definizione più efficace si deve al sociologo ed economista Partha Dasgupta, che non esita a indicarla come il “problema fondamentale dell’economia”.
Secondo Dasgupta, la fiducia si riferisce al capitale sociale o relazionale, ossia al patrimonio di rapporti instaurati tra l’impresa – nel nostro caso l’agenzia assicurativa – e i suoi interlocutori.
In altre parole è la fiducia a generare relazioni anche economiche. Esiste un impatto economico delle relazioni interpersonali. Afferma l’economista anglo-indiano, docente di economia a Cambridge: “Che si tratti di scavare un pozzo per il villaggio, di mettere assieme le forze per raggiungere un risultato politico, di stipulare un accordo commerciale o un’assicurazione o di stipulare un matrimonio, alla base di tutto è necessario che le parti si fidino l’una dell’altra”.
In pratica, se mi fido, chiedo e stipulo. Se non mi fido, tengo le mie domande, e dunque anche le mie risorse in tasca. Come sta accadendo oggi nei mercati finanziari, in balia di una crisi di fiducia prima ancora che di liquidità.
Insomma l’esistenza della fiducia rappresenta la risorsa determinante, l’elemento (solo in apparenza) immateriale, perché alla fine produce denaro e lo fa innalzando il livello di efficienza del sistema economico, e anche la frequenza delle operazioni, in una parola: dei contratti.
Spetta a noi assicuratori imparare a gestire la fiducia come valore economico. Al punto che non esiste scelta operativa, aziendale, che possa prescindere dalla fiducia. È la fiducia a farci firmare i contratti. Sono, dunque, le relazioni a “garantirci il pane quotidiano”.
Quali relazioni, in concreto?
Relazioni con i clienti, in primis. Spetta a noi tutelare l’univocità di questo rapporto. Dobbiamo proteggere la relazione con il cliente. E alcuni passi su questa strada sono stati fatti, in materia di privacy. Ma siamo solo all’inizio.
È necessario considerare il portafoglio clienti come una risorsa concreta, come una ricchezza che genera altra ricchezza. Ma questo può accadere solo se abbiamo saputo creare un rapporto chiaro e coerente. Se abbiamo saputo stimolare la fiducia di chi si rivolge a noi.
Se abbiamo lavorato bene, siamo diventati un punto di riferimento, anche di responsabilità sociale. Ci siamo costruiti una (buona) reputazione.
Ebbene, questa buona reputazione va “messa a frutto”. Dobbiamo farcene promotori, considerarla un bene da difendere. E perché accada, è necessario lavorare sull’altro fronte cardine della relazione assicurativa, e dunque di quel patrimonio di contatti e relazioni che nutre la fiducia: sul fronte della costruzione del rapporto con la Mandante.
Cito ancora Dasgupta: ” Ci si fida di un familiare, legati dall’affetto. Ci si fida facendo conto nell’altrui come nella propria integrità morale. Ci si fida, ancora, potendo contare su un soggetto esterno come il capo del villaggio o lo stato di diritto. E ci si fida, infine, sapendo che le norme sociali puniscono il mancato adempimento, per esempio, di un contratto”.
Insomma, per ottenere fiducia ci vuole coerenza, che significa saper proporre un’immagine limpida, trasparente del proprio operato. Anche: mantenere la parola data. È necessario mantenere gli impegni presi. Non è possibile costruire fiducia se manca tempestività nelle risposte, se latita l’ascolto, se viene attuata una tattica dilatoria in cui mancano le risposte.
Non può esserci fiducia senza la garanzia che i comportamenti scorretti verranno sanzionai e giustamente puniti.
Ma come possiamo fare delle offerte credibili ai nostri clienti se manca una fiducia verso la casa madre?
Abbiamo bisogno di poter contare su questa trasparenza, abbiamo bisogno di valorizzare il rapporto con la casa madre. O ne verrà un detrimento per il nostro lavoro quotidiano.
Dobbiamo potenziare il contraddittorio costruttivo con la compagnia, approfondendo il metodo del confronto.
Altrimenti perdiamo in fiducia. Fiducia verso chi lavora con noi. Ma è una perdita che si traduce poi in perdita economica – di clientela anche. Perché come ogni grandezza economica, la fiducia risponde a regole matematiche. Se manca fiducia, i conti non tornano.
Dopo anni di giungla lavorativa, mentre questo nostro settore veniva preso d’assalto dal miraggio dei guadagni facili, come se ci si potesse improvvisare assicuratori in un giorno, oggi appare con estrema chiarezza che il vero motore per produrre fiducia, e innescare il circolo virtuoso è mostrare che si possiede, accanto ad un’ineccepibile conoscenza specifica, un’etica.
Un’etica della concretezza. Del saper fare.
Ciò implica, in concreto, adeguamento delle nostre strutture d’agenzia e dei servizi offerti a modelli di sostenibilità, e un impegno costante e continuo nell’aggiornamento, nel cercare metodi smart, semplici ed efficaci.
Uso a proposito questa parola, impegno, nella sua radice più antica, quella sorta di fusione tra in + pegno. Perché è questo il significato più importante. Perché per rimanere in gioco dobbiamo offrire qualcosa in pegno, appunto in garanzia. E il bene che offriamo è la fiducia, questa grandezza economica, matematica, che può generare ricchezza e posti di lavoro.