di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Dal 2013 assegni più leggeri per chi non sceglie di rinviare l’addio al lavoro. Per chi va in pensione da gennaio 2013 a 60 anni l’assegno per la quota parte determinata dal sistema contributivo scende del 2,9%. È l’effetto della revisione dei coefficienti che trasformano il montante contributivo in pensione che sono calcolati sulla base di variabili demografiche e del Pil. Per evitare il taglio si deve lavorare per qualche anno in più perché in questo modo la percentuale di copertura sale. I nuovi coefficienti di trasformazione del montante contributivo in rendita pensionistica contenuti nel decreto ministeriale pubblicato il 24 maggio in Gazzetta Ufficiale permettono a chi è vicino alla pensione di sapere quale sarà il suo assegno e di quanto potrà arricchirlo restando di più al lavoro. Questo volta i coefficienti arrivano fino ai 70 anni, tengono quindi conto della riforma Fornero che ha spostato in avanti l’età del buen retiro. Il lavoratore può moltiplicare il suo montante contributivo per i diversi coefficienti e scoprire come varia l’assegno. Chi decide di rinviare la pensione avrà un tasso di sostituzione (ovvero la percentuale dell’ultimo stipendio che si avrà come assegno previdenziale) più alto, come emerge dai coefficienti che passano dal 4,3% per chi esce dal mercato del lavoro a 57 anni al 6,54% di chi resta fino a 70 anni. I nuovi coefficienti, più bassi in media del 3% rispetto a quelli del 2010 (vedere tabella in pagina) per via dell’allungamento atteso della vita media, entreranno in vigore dal gennaio 2013 e saranno validi nei tre anni successivi. Ma va detto che questi nuovi coefficienti sono stati calcolati dai tecnici del ministero del lavoro e della Ragioneria dello Stato assumendo un Pil dell’1,5%, basandosi sul fatto che tra il 1990 e il 2007 la variazione è stata dell’1,47% e inglobando completamente la recessione in cui è caduta l’Italia tra il 2008 e il 2011 e le basse prospettive di crescita economica previste per i prossimi anni. Lo stesso Alberto Brambilla, presidente del nucleo di valutazione della spesa previdenziale al ministero del lavoro ha più volte sottolineato la necessità di aggiornare le stime del Pil perchè quelle attuali sono troppo elevate, considerato il contesto economico. Nel 2013 ci sarà anche un incremento dei requisiti anagrafici e contributivi necessari per ottenere la pensione di vecchiaia e anticipata (66 anni e tre mesi per i lavoratori dipendenti e autonomi e 62 e tre mesi per le lavoratrici del settore privato). Il prossimo ricalcolo scatterà nel 2016, poi dal 2019, l’anno dell’allineamento a 67 anni per la pensione di vecchiaia per tutti, i successivi aggiornamenti ci saranno ogni due anni e coincideranno con gli adeguamenti previsti dalla riforma che agganciano i requisiti di accesso al pensionamento all’aspettativa di vita. E più l’orizzonte si sposta in avanti più questi calcoli diventano fondamentali perché la quota parte di metodo contributivo diventa sempre più significativa rispetto al retributivo. Come emerge anche dall’analisi realizzata dalla società di consulenza indipendente Progetica su come cambiano i tassi di sostituzione nei prossimi anni assumendo una variazione attesa del Pil più prudente e pari allo 0,25%. «Il progressivo passaggio dai sistemi retributivi pro-rata ai misti e ai contributivi puri provoca un progressivo abbassamento dei valori», sottolinea Andrea Carbone di Progetica. «L’andamento a volte non lineare tra le generazioni, oltre a un fatto statistico, è dovuto alle differenti età di pensionamento e all’effetto recessivo del Pil di questi anni perché chi è più prossimo alla pensione ha meno tempo per recuperare lo shock». Peraltro tutte le simulazioni ipotizzano la continuità lavorativa fino a tarda età: uno scenario non sempre scontato, considerando le attuali dinamiche del mondo del lavoro», aggiunge Carbone. La necessità di pianificare per tempo la propria stabilità economica al tempo del pensionamento rimane dunque sempre attuale. La proiezione per uomini e donne è unificata perché ci sono minime differenze solo fino al 2018 quando saranno sotto lo stesso regime. Nella tabella sono evidenziati in tre colori diversi i tassi di sostituzione: semaforo verde per chi avrà un tasso superiore al 70%, giallo per chi va dal 50 al 70% e arancione per chi si trova al di sotto del 50%. Nei prossimi anni il tasso di sostituzione resta alto perché il metodo retributivo incide molto, poi ci sono veri e propri salti, come emerge anche dal grafico che analizza la distribuzione dei tassi di sostituzione dei neo pensionati da qui al 2050. I numeri parlano chiaro. Un dipendente nato nel 1947 e che ha iniziato a lavorare a 29 anni può avere il 74%, mentre chi è nato nel 1968 e ha sempre iniziato a lavorare a 29 anni avrà un tasso di sostituzione del 52%. Per i lavoratori autonomi il crollo del tasso di sostituzione è ancora più forte. Un lavoratore autonomo nato nel 1968 che ha iniziato a lavorare a 25 anni godrà di un tasso di sostituzione del 48%, mentre un suo collega nato a fine anni Quaranta può contare su una quota circa dell’80% dell’ultimo stipendio. Davanti a questi dati diventa sempre più urgente una riflessione su come integrare l’assegno pubblico considerando anche il fatto che la variazione del Pil incide anche sulla rivalutazione dei contributi versati. Quindi un Paese in recessione produce assegni poveri. (riproduzione riservata)